La BBC ha reso noto che in Agosto l’economia italiana si è trovata a fronteggiare il secondo quadrimestre consecutivo di “crescita negativa”, e va a grandi passi verso la recessione. Per essere più precisi, sui titoli di testa del notiziario BBC c’era scritto “the Italian economy is flirting with recession”. Eh già, gli inglesi sanno bene che a noi italiani piace spesso “flirtare”. In Gran Bretagna la situazione non è molto differente (si è in piena e grave crisi economica anche qua, come del resto nella maggior parte dei paesi occidentali), ma in Italia le cifre sono decisamente più allarmanti. E si sa, in un’economia globale basata sulla crescita, la recessione non è un problema, è un dramma.
Ma deve per forza essere così? Certo, se si osserva la situazione da un punto di vista, diciamo, classico, la recessione è l’inizio della fine. Meno consumi, meno posti di lavoro, meno produzione di reddito (e di merci in generale).
Ma vuol dire che la qualità della nostra vita con meno lavoro, meno reddito, meno merce-spazzatura, deve essere per forza inferiore?
Siamo le prime generazioni che avranno “meno” dei loro padri. Ma non necessariamente che faranno meno! Ho sentito addirittura dire che la mia e quelle attorno alla mia sono le prime generazioni che “non faranno meglio dei propri padri”, come invece è sempre stato finora.
Bene. Se fare peggio dei nostri padri significa re-inventare una società ed un’economia basate più sulla cooperazione che sulla competizione tipica di tutte queste compagnie che, sa il cielo come, sono in “costante e aggressiva espansione”, se significa ridare delle regole all’impazzito e schizofrenico mercato globale, se significa rendersi conto che si può avere di più con meno (sotto ogni aspetto), se è capire che l’improbabile crescita senza limiti che ci hanno fin qui spacciato per necessaria si è ormai scontrata con grossi limiti sia economico-finanziari che, soprattutto, socio-ambientali, personalmente sono ben contento di appartenere a questa generazione, con tutte le difficoltà annesse e connesse.
Il lavoro da fare è tantissimo, ma siamo ad una svolta epocale. Abbiamo l’opportunità storica (che potrebbe essere anche l’ultima) di ridare una nuova forma al mondo in cui viviamo, per poi riempirlo nuovamente di sostanza. Ovviamente non dall’oggi al domani. Un processo di questo tipo richiederà parecchi anni per essere messo seriamente in pratica; anni di riforme culturali, economiche e sociali. Pensare che tutto ciò possa avvenire in fretta e spontaneamente è pura utopia. Ma davvero rendersi conto che la vita non è meno bella, anzi, lo è di più se non si cambia un telefonino ogni tre mesi, se non si butta via un frigorifero ancora funzionante, se non si fanno i debiti per andare ad annoiarsi in vacanza dall’altra parte del mondo, può letteralmente salvarci da un elevato numero di schiavitù, stress e frustrazioni. Nonché dall’incombente disastro ecologico, su cui gli scienziati di tutto il mondo all’unanimità ci mettono in guardia da anni.
Per il momento siamo forse ancora in un terreno di sogno, sempre al confine con l’utopia ma, volenti o nolenti, ormai siamo qua. E qualcosa si muove: associazioni, circoli culturali, movimenti, Meetup… Sempre più gente si sta risvegliando (a volte purtroppo bruscamente) dall’incantesimo, dall’inganno dei falsi modelli propinatici negli ultimi decenni, per fare i conti con le promesse fatte da uno sviluppo che ha portato ovviamente molti benefici, ma anche moltissimi problemi.
Inizia la recessione? E così sia. Non sarà per nulla indolore, ma sotto certi aspetti necessaria. Fa un po’ paura la reazione che possono avere le masse di consumatori globali ormai abituate all’idea di poter avere tutto e subito, ma prima o poi si farà di necessità virtù. Inoltre siamo sempre stati in grado di cavarcela, sia come esseri umani che soprattutto (noi) come italiani.
La fortuna nella sfortuna è quella di prendere coscienza dei vari limiti sociali ed ambientali accennati nel momento in cui li stiamo incontrando. È come la “fortuna-sfortuna” di aver raggiunto il picco di produzione del petrolio nel momento in cui il caos climatico potrebbe sfuggire da ogni controllo.
Queste sono opportunità. Opportunità di cambiamento e di miglioramento. Non l’opportunità di tornare alla candela, al cavallo o alla vita campestre (cosa che, per quanto affascinante e romantica, oggi come oggi la maggior parte di noi, io per primo, non sarebbe assolutamente in grado di fare), ma di far tesoro di tutti i progressi fatti finora in ogni campo, utilizzandoli al meglio.
È una scommessa, una sfida, ma come già detto anche una necessità. E potrebbe darci modo di essere una volta tanto i precursori di qualcosa, di esserne i pionieri (e a questo noi italiani ci siamo un po’ disabituati, da qualche tempo), per poter vedere fra qualche anno la BBC che, in una Gran Bretagna a sua volta in piena recessione, guarderà all’Italia non con aria di scherno o di sufficienza, ma con ammirazione, essendo stato il primo Paese, il primo popolo, la prima grande economia a trarre benefici ed opportunità di miglioramento da quelle che dovevano essere le più spaventose ed ingestibili delle catastrofi: la recessione e la Decrescita!