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“Povera” Gelmini. Scuola irriformabile nella società dei consumi...

di Carlo Gambescia - 10/09/2008

Secondo un sondaggio (http://www.affaritaliani.it/politica/piepolisondaggio050908.html) il Ministro dell’Istruzione Gelmini è in cima alla classifica dei ministri più amati dagli italiani. Ne siamo lieti per lei. Peccato però che ora sia arrivata anche la bocciatura Ocse della scuola italiana… (http://www.corriere.it/cronache/08_settembre_09/scuola_rapporto_ocse_33eb15f0-7e50-11dd-8ebb-00144f02aabc.shtml ). "Povera" Gelmini...
Tralasciamo subito il problema dei “tagli”, benché serio. E per una semplice ragione. Perché, crediamo che la critica alla politica scolastica della Gelmini debba andare più a fondo. E occuparsi della contraddizione tra gli appelli del ministro sulla necessità di un ritorno ai valori meritocratici e gerarchici e il brodo culturale in cui sono immersi gli italiani, soprattutto i giovani: probabilmente la peggiore miscela di cinismo e consumismo degli ultimi cinquant’anni.
Sia chiaro: il nostro non è il solito discorso rivolto a rimpiangere i bei tempi andati, eccetera. Ma una critica a un certo modello culturale, tutto lavoro e consumi. Facciamo subito un esempio.
Se i sondaggi ci dicono che due ragazze su tre sognano di diventare veline per sposare un calciatore famoso, oppure che due ragazzi su tre non vedono l’ora che giunga il fine settimana per “sballarsi”, riteniamo gli appelli del ministro, anche se magari seguiti da misure concrete (tipo la reintroduzione valutativa del voto in condotta), destinati a non produrre risultati. Anzi a peggiorare le cose, perché i ragazzi, una volta usciti alle ore 13 dalla gabbia scuola, e per giunta incattiviti, tornerebbero a “nuotare”, e con maggior spirito di trasgressione, in quella cultura del nichilismo gaio, da cui ormai quotidianamente dipendono.
In realtà le questioni sono due.
In primo luogo, la scuola non è più uno strumento di socializzazione, e se lo resta, solo in minima parte. Oggi i giovani si formano all’interno delle istituzioni di “consumismo mediatizzato” (televisione, centri commerciali, concerti, stadi, eccetera) e dei cosiddetti “gruppi amicali”. Gruppi che rispondono a ferree regole legate all’età, alle suddivisioni dell’ambiente urbano, ai ceti sociali di provenienza e ai gusti cultural-musicali, anche questi rigorosamente Le abitazioni familiari, anche se modeste, spesso sono divise in comparti stagni, dove ogni membro, conduce vita separata… Pertanto anche la famiglia, con alcune eccezioni, rischia di non essere più uno strumento di socializzazione. O comunque determinante per la formazione della personalità socioculturale dei ragazzi.
In secondo luogo, come il lettore dovrebbe aver già capito, il principale responsabile di questo degrado è certa cultura “divertentistico-consumistica” fondata sul principio “del lavora e compra”. E nel caso dei giovani su quello “dello studia e comprati uno sballo”: nel senso che durante la settimana si deve lavorare e studiare sodo, per poi dedicarsi ai consumi, di ogni tipo, anche oltre i confini del lecito, magari rimettendoci la salute e sempre più spesso la vita.
Ma come conciliare lavoro e studio da una parte e vita vera (quella dei consumi crescenti) dall’altra? In nessun modo, se non ricorrendo a dosi massicce di psicofarmaci, come mostrano le statistiche sul crescente e generalizzato consumo di questi prodotti.
Conclusioni. In un quadro del genere ogni invito alla meritocrazia e alla gerarchia nei riguardi di giovani dalla personalità schizofrenica (in senso sociologico e non clinico), rischia di cadere nel vuoto. Si dovrebbe avere il coraggio, per dirla brutalmente, di spegnere la televisione… E di smetterla di aggirarsi come zombies, per i centri commerciali. A cominciare dagli adulti.
Il che non è possibile, ci dicono gli economisti scuotendo la testa, perché il sistema produttivo ne risentirebbe. Benché, come mostra l’andamento disastroso della borsa mondiale, il sistema ce la stia mettendo tutta… Per affossarsi, of course.
Ma non ditelo agli economisti.