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Radici per la resistenza

di Laura Fruttero - 07/10/2008

Attualmente il 75% della popolazione povera si trova in aree rurali con forte dipendenza dalle risorse naturali. In queste zone, i danni provocati da eventi estremi dovuti al cambiamento climatico, come alluvioni e siccità, sono più ingenti, in quanto distruggono le basi della sopravvivenza delle popolazioni locali.
Tuttavia, le comunità rurali che sfruttano in maniera sostenibile le risorse a propria disposizione e proteggono la natura hanno gli strumenti adatti per fronteggiare queste emergenze. È questa la conclusione raggiunta da uno studio del World Resources Institute di Washington DC dal titolo “Roots of Resilience” (Radici per la resistenza), che propone un piano da attuare con il supporto delle Nazioni Unite (Programma per lo Sviluppo - UNDP e per l’Ambiente - UNEP) e della Banca Mondiale.

Il modello tradizionale di agricoltura assume quindi un’importanza vitale per i 2 milioni di persone che vivono nelle aree rurali e povere, ai quali deve essere assicurato il diritto di accesso e utilizzo delle risorse naturali.
Tra gli esempi citati nello studio: in Niger, una delle 5 nazioni più povere al mondo, sono state sottratte aree semi-desertiche alla regione del Sahel, con importanti benefici economici e riguardo la sicurezza alimentare; mentre in Bangladesh, sono stati ottenuti ottimi risultati bonificando zone umide inquinate o degradate.

Gli elementi necessari per il successo di un’impresa nel rispetto degli ecosistemi sono:
- Libero accesso alle risorse locali da parte della comunità; la presa di coscienza dei vantaggi derivanti da questo tipo di attività;
- Aiuto tecnico da parte di governi e agenzie per lo sviluppo;
- Formazione di reti di supporto tra le comunità.
Programmi di questo tipo possono rendere le comunità più preparate ad affrontare i cambiamenti climatici e le sfide economiche, sociali e ambientali future.

Fonte:
The Guardian
World Resources Institute