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L'eros indiano. Studio sul mondo delle cortigiane

di Desirée Nocentini - 07/01/2009

   

L’amore sensuale in India non è mai stato considerato un peccato sia perché il suo pensiero religioso è fortemente pervaso da simboli e valori sessuali, sia perché il problema morale è sempre stato affrontato in maniera totalmente diversa rispetto alle altre civiltà; la tendenza trattatistica e alla classificazione sistematica inoltre, ha permesso che il dominio dell’eros non si limitasse ad un ars amandi ma si rivelasse un sapere affine ad una scienza.

Seguendo il pensiero indiano, la coppia non deve essere abbandonata a se stessa di fronte ai propri problemi sessuali e da questa necessità che sorgono le minuziose classificazioni dei tipi maschili e femminili, l’analisi delle posizioni e dell’intensità di desiderio, nonché una particolare attenzione a tutto il bagaglio d’usi e consuetudini che accompagna le relazioni amorose. I testi tecnici dell’erotica nascono con l’intenzione di ridurre al minimo la possibilità di penose delusioni (non a caso un’approfondita conoscenza teorica delle dottrine erotiche costituiva parte essenziale delle nozioni che la sposa doveva portare al proprio uomo).

La tradizione indiana ha saputo porre il problema della liberazione e della felicità dell’uomo anche attraverso la valorizzazione degli istinti umani considerando un’unità inscindibile corpo e anima.

L’aspirazione ad un amore unico e profondo nel quale “la separazione antagonistica della parte fisica da quella spirituale possa essere superata aprendo la sfera spirituale all’istinto” (Marcuse, rimane un’aspirazione per pochi privilegiati. Non per nulla il corpo umano, considerato uno dei principali motivi decorativi, apparirà raramente isolato, giacché gli artisti indiani, soprattutto gli scultori, preferiscono tendenzialmente la coppia (mithuna) quasi a voler significare che l’uomo e la donna isolati sono due parti di un cerchio che cercano di ristabilire la loro originaria unione nell’Assoluto, raggiungibile solo superando l’apparente contrapposizione dei contrari.

La presenza numerosissima delle prostitute implica il diffondersi dell’amore mercenario e di conseguenza la difficoltà di realizzare il sogno dell’unione perfetta. Il crudele uso della satī tuttavia, già attestato nell’IV secolo a.C. si sforzava di restaurare agli occhi del pubblico l’immagine della coppia perfetta e indissolubile. Nella gran parte di questi suicidi, maschere per assassini legalizzati, è lecito credere che l’orrenda fine di queste donne sia stata un’imposizione ipocrita diretta a tutelare il buon nome del defunto che doveva apparire insostituibile; inoltre era un metodo radicale per eliminare le molte preoccupazioni della famiglia circa il futuro della vedova. Divenuto molto comune nell’India medievale, soprattutto durante la fase islamica, questo rito fu abolito da una legge inglese del 1929, anche se si sono registrati casi fino agli anni ’80 del 1900. Molte delle donne che rifiutavano il rogo con sforzi disperati, divennero di facili costumi o si dettero alla prostituzione in conseguenza all’ostilità che le convenzioni sociali del mondo indiano suscitavano contro di loro.

È chiaro che l’area indiana, nei millenni della sua storia conobbe società diversissime con valutazioni morali opposte (nella società kuśana del nord-ovest della penisola, la donna godeva di assoluta libertà e poteva liberamente offrirsi all’ospite gradito senza suscitare affatto la gelosia dello sposo ufficiale). I testi tecnici esaltano l’amore carnale e si sforzano di dettare regole atte a raggiungere il massimo del piacere, il pensiero tantrico, śivaita e buddista considera l’esaltazione dei sensi come un accumularsi d’esperienze che hanno lo scopo di provocare la sazietà e infine il disgusto per il piacere carnale, favorendo nell’animo umano quella tendenza al nirvāna  e al proprio annullamento come io individuale, dovuto al distacco volontario da desiderio e piacere (quella tendenza che per Freud era il ritorno alla quiete assoluta del mondo inorganico).

Nel Mahābhārata troviamo una dura condanna dei costumi dei popoli della civiltà vallinda in cui, secondo gli arya, padri e figlie, madri e figli, fratelli, sorelle, e amici non avevano scrupoli ad accoppiarsi tra loro. Il poema punta anche il dito sui Madras di Śakala, descrivendone l’assoluta promiscuità e chiamando le donne senza marito hāhate (termine che per Agrawala  deriva dal greco “hetara”, cortigiana). Tale concezione è probabilmente il risultato dell’ostilità preconcetta degli arya, sconcertati dalle sopravvivenze degli antichi riti orgiastici frutto di concezioni secondo cui l’intera vita sessuale sarebbe in rapporto con valori magici e religiosi. Ciò è dimostrato anche dall’assenza assoluta di templi, forse sostituiti da grandi bagni pubblici per le abluzioni rituali, e la straordinaria frequenza d’immagini femminili nude con seni e sesso marcati nonostante la forte
stilizzazione.

[immagine 1] danzatrice di Mohenjo-daro IV sec a.C.

 

Secondo alcuni studiosi la statua della danzatrice rappresenta la prostituta sacra che danzava nel tempio dedicato alla dea madre vallinda; tale sarà anche la professione delle future devādasī.  A partire dal IV secolo a.C. , vennero costruite molte vasche per abluzioni e templi con santuari, e fu da allora che in essi si riunirono gruppi di danzatrici sacre al servizio di Śiva. Danzatrici e musiciste facevano parte della categoria sociale delle cortigiane, anche se non praticavano il commercio del loro corpo. I conquistatori musulmani le catturarono come bottino di guerra  proibendo la loro danza nei templi data l’incompatibilità di questa tradizione con la loro fede,  e gli inglesi vietarono questa pratica con un’indignazione puritana, facendo decadere la tradizione artistica che adesso troviamo in parte nel Bhārata natyam, principale stile della danza classica indiana molto complesso e formalizzato che ha un carattere fortemente religioso poiché è collegato al culto di Śiva Natarāja, signore della danza. Con la messa al bando dell’istituzione della devādasī, anche gli indiani iniziarono a vedere la danza con gli occhi degli occidentali, ma rendendosi poi conto dell’importanza di tale tradizione, la danza fu recuperata ma distaccata dai templi ed insegnata a tutti in accademie, escludendo l’aspetto erotico verso la divinità che l’aveva caratterizzata fino ad allora. Gli altri stili di danza classica sono:

·        Kathakali: danza basata su storie del teatro, anche sanscrito, e sull’epica. È la danza tradizionale del Kerala, in cui i danzatori, solo uomini non professionisti di basso ceto, sono vestiti con abiti sfarzosi e cappelli pesanti che bloccano il movimento del collo, truccati pesantemente fino al punto di immobilizzare le espressioni facciali. Tende molto all’elemento forte (tandava) della danza di Śiva. Le rappresentazioni di danza in questo stile avvengono spesso di notte, con un apparato scenico piuttosto scarso e sottofondo musicale di tamburi, che crea stato di ansia negli spettatori prima dell’apparizione dei danzatori.

·        Kuchipudi: stile in cui è favorito l’elemento debole a carattere più erotico (lassia).

·        Katak : stile delle regioni settentrionali dell’India che prevede spesso l’espressione fissa del volto, in genere di beatitudine.

 

Fin dalla fase vedica, l’India riconosce alla sessualità un valore religioso, spesso collegabile al rito orgiastico; l’origine è preariana ed è legata ai culti della grande madre. Il potere dell’orgia è quello di scuotere le forze positive dell’universo ed ha un duplice scopo: ottenere la fecondità (di campi animali e donne) e procurare una difesa magica (sicurezza da malattie  e attacchi). I partecipanti contraevano tra loro un vincolo particolare e almeno in origine si sentivano partecipi di un rito da cui poteva dipendere la vita della comunità.

I riti orgiastici sono previsti anche dal tantrismo, nel quale prendono il nome di cakra, (ruota). Vi partecipano giovani di bassa casta e prostitute ricercate (dombī), accettate in una cerimonia religiosa perché più la donna è depravata più è adatta al rito. Come previsto dai Tantra, la parte di Śakti, incarnazione del potere attivo della divinità, è giocato da cinque alte prostitute:

·        Rāja-veśyā : cortigiana del re

·        Nāgarī : cortigiana dei cittadini colti

·        Gupta-veśyā : cortigiana che segue la professione segretamente

·        Deva-veśyā : danzatrice del tempio

·        Brahma-veśyā: cortigiana che visita i luoghi sacri.

 

Non c’è quindi da stupirsi che anche una dinastia regnante, i Candella, fiorita tra IX e XI secolo nell’attuale Madhya Pradesh, fosse dedita al culto orgiastico che conferiva ai sovrani una sorta di divinizzazione. Essi eressero uno dei maggiori complessi monumentali a base erotica di tutta l’India, i templi del Khajurāho, le cui facciate ritraggono immagini di coppie e gruppi fortemente sconcertanti per l’ardire degli accoppiamenti.

 

[ immagine 2 ] Particolare di un tempio del Khajurāho

 

Sarkar afferma che la prostituzione indiana è sorta nella regione del Kuru-Pāñchāla e attraverso i testi sacri sappiamo che fu praticata fin dai tempi vedici; Pumśchalī, citata nell’Atharva Veda come dasī, è probabilmente una prostituta anche se il termine ebbe poi l’accezione di schiava.

La Vājasaneya Saṃhitā riconosce la prostituzione come una professione, parla di unioni illecite tra śudra e arya, e designa la vittima del purus$amedha con appellativi significanti cortigiana; il R$g Veda cita le sabhāvatī yoshā, donne che si riuniscono in occasione delle seshā, feste a sfondo sessuale e gioco d’azzardo nelle quali transitavano nobili, mercanti e funzionari reali.

Nella fase vedica pare che le stesse istituzioni incoraggiassero l’amore libero con la creazione delle samana, feste popolari con tornei di carri durante le quali, secondo Pischel, le donne cercavano marito e le cortigiane profitto.

L’origine della pratica della prostituzione è narrata da numerose leggende; il Mahābhārata narra che Dīrghatama apprese da un essere semidivino l’uso delle bestie (probabilmente l’abitudine di accoppiarsi in pubblico) e lo insegnò alla moglie provocando dapprima il suo piacere e poi la sua vergogna al punto che decise di non accoppiarsi più col marito. Dīrghatama la maledisse affinché non provasse più piacere erotico accoppiandosi con gli altri uomini ma per compensarla dell’ostilità sociale che le aveva causato, volle che traesse denaro dai futuri accoppiamenti. Nel Matsya Purān$a l’istituzione delle cortigiane ha origini divine: Brahma chiese a Śiva se conoscesse le norme prescritte per le prostitute ed egli rispose raccontando la storia di Kr!s$n$a e le sue gopī, ridotte a schiavitù da Śāmba e poi liberate ma costrette a vivere una vita di vergogna. Un giorno, incontrando lo r,,s,i Dālbhya, gli chiesero per quale motivo avessero perso la loro virtù e il saggio disse loro che erano le reincarnazioni delle figlie di Hutāśana, condannate alla prostituzione da Nārada perché non gli avevano fatto un saluto cortese. Śiva narrò poi a Brahma la storia della guerra tra Deva e Asura, durante la quale le mogli dei demoni uccisi furono rapite e sposate dai ladri. Indra consigliò loro come alternativa, di lavorare come prostitute nel palazzo del re o entrare al servizio dei templi offrendo quanto più potevano ai brahmani.

La casta brahmanica era il principale strumento di tutela e sanzione della prostituzione ma troviamo più raramente anche sacerdoti in veste di maestri d’erotica; in questa fase tuttavia, il comportamento delle cortigiane non fu elogiato come lo sarà nella letteratura successiva. La Smr,ti ha una bassa opinione delle concubine al punto che per espiare il peccato di aver frequentato una di loro, il testo prescrive agli uomini il sacrificio prājāpatya, poiché le cortigiane erano considerate impure ed ai brahmani era proibito accettare cibo da loro.

Nel Rāmāyana  si parla dell’esercito dei Pān,dava che sembra includesse carri di donne che vendevano il loro corpo e alleggerivano la tensione prima dei combattimenti.

Nei Purān,a e nella Sm,rti sono elencate le modalità di mantenimento di signore e cortigiane in conseguenza alla morte del protettore (in quel periodo il concubinato fu riconosciuto come istituzione sociale), e i tributi che le cortigiane dovevano versare alla tesoreria dello stato.

Letteratura vedica, epica e smr,tica tuttavia, trattano l’argomento delle cortigiane in modo succinto: i primi hanno natura eroica e moraleggiante e la tradizione si concentra sulla posizione sociale delle prostitute più che delle loro consuetudini di vita. Qualche informazione in più è fornita dall’Harivam,śa, diciannovesimo capitolo del Mahābhārata, il cui contenuto è estraneo alla vicenda del poema essendo un’aggiunta posteriore a carattere vis,n,uita. In esso si parla esplicitamente di occasioni e feste che le cortigiane erano solite frequentare:

·        Gos,t,hī: feste allestite dai ricchi signori per promuovere le arti, con recitazione di poesie, teatro, danza, giochi e concerti strumentali col vin,a, ma soprattutto gran consumo di liquori e compagnia delle cortigiane. I partecipanti elargivano doni in onore delle qualità artistiche dei membri, tramite una cerimonia detta kalāpuja. Le gos,t,hī erano riconosciute come istituzione in tutta l’India e divennero poi popolari anche tra i buddhisti.

·        Yātra: viaggi di piacere di uomini d’alto rango che presupponevano tresche con le cortigiane

·        Samāja: adunanze con passeggiate nei giardini, competizioni tra maestri musicali, danza, combattimenti di animali, tornei e rappresentazioni drammatiche in cui le cortigiane partecipano come protagoniste o spettatrici in tribune a loro adibite. Sono ricordate nel primo editto di Aśoka come parte importante della vita sociale dei Maurya

·        Udyāna: feste organizzate in giardino con sport e giochi d’acqua

·        Ghat,ā: festività mensile che cade nel giorno di Sarasvatī, dea dell’apprendimento e delle arti, caratterizzata dalla presenza di niyukta, ballerini dei templi che a volte provenivano da lontano e che ricevevano un onorario fissato per l’occasione.

La letteratura jaina è un’altra fonte d’informazioni circa queste feste: nel Niśīthasūtra si parla della
ghad,a (ghat,ā nel Kāmasūtra), indicandola come festa organizzata in occasione di feste stagionali e avvenimenti particolari come i pellegrinaggi, dove le cortigiane giocavano decisamente
un ruolo fondamentale. Era gestita dal mahattara, il membro più rispettabile (un odierno presidente del circolo), l’an,umahattara, il “vicepresidente” tra i cui doveri rientrano risposte a domande di arte e letteratura, il lalitāsan,a, che si occupa della preparazione del cibo e dell’appropriato servizio, il kad,uga, che ha il compito di far rispettare la disciplina determinando le eventuali punizioni ed infine il dan,d,apati che esegue tali punizioni.
Nell’ottavo, nono e undicesimo editto di Aśoka vengono anche nominati i vihālayātam,, viaggi di piacere allo scopo di bere, stare in compagnia delle cortigiane, giocare d’azzardo e praticare sport; sappiamo inoltre che nel periodo Maurya c’erano i pānāgāra, bar privati molto decorati e divisi in cabine dotate di letti e sedie che rappresentavano uno dei terreni di caccia delle prostitute.
La letteratura buddista tratta l’argomento della prostituzione attraverso storie e parabole come quella di Sama, una delle cortigiane favorite dal re di Banaras che si invaghì di un ladro che doveva essere giustiziato. Dopo essersi messa d’accordo col governatore per sostituire il suo amato con
qualcun altro, Sama convinse un suo cliente ad andare dal governatore con la scusa di chiedere la scarcerazione del fratello ma egli fu ucciso mentre il ladro fu messo in salvo con Sama in una carrozza. La vita dei due procedeva felicemente fin quando il ladro, pieno di sospetti verso la sua compagna, decise di farle perdere conoscenza e derubarla prima che lo facesse lei. Quando si fu ripresa, non credendo alla perfidia del suo amato, mandò una banda di attori a cercarlo ma lui si rifiutò di tornare e Sama rimase per tutta la vita piena di rimpianti. Famosa è anche la storia di Sulasā, anch’essa cortigiana di Banaras, ma più saggia e coraggiosa di Sama. Il suo amante infatti, col pretesto di un sacrificio la convinse ad ornarsi di tutto punto. Quando furono sulla montagna lui voleva derubarla ed ucciderla ma lei, ricordandogli i bei momenti passati insieme e con la promessa che gli avrebbe dato tutto ciò che voleva, lo convinse a concedergli un ultimo abbraccio e lo spinse giù dalla montagna salvandosi.
Nelle Jātaka le donne vengono descritte essenzialmente come degli esseri malvagi e dominati dagli istinti, che disprezzavano i loro mariti per povertà, anzianità, malattia, noia o lavoro eccessivo. Per quanto riguarda le cortigiane, i loro padroni sono identificati in re, mercanti, banchieri, ovvero quelle persone che erano in grado di mantenere alta la loro lussuria proprio perché esse erano molto avide (molti sono infatti gli aneddoti su amanti abbandonati o rifiutati per ragioni di denaro).
I tanti nomi usati dalla letteratura buddista per descrivere le prostitute, testimonia la loro diffusione. Tra questi spicca la gan,ikā, la cortigiana d’alta classe che frequenta le corti, la veśyā, che pratica
la professione in proprio e non ha il talento artistico e la raffinatezza della gan,ikā, e la kumbhadāsi, sorta di schiava descritta come una donna immorale esperta in danza e musica.
Una fonte piuttosto dettagliata dello stile di vita delle cortigiane ci è fornito dalla letteratura pracrita jaina. Questo potrebbe sembrare strano pensando alla rigidità etica e ascetica dei jainisti ma non lo è in quanto una delle caratteristiche di questo movimento religioso è anche la cura per i dettagli, non solo del loro modo di vivere, ma anche delle persone che li circondano, in particolar modo re, nobili e mercanti, i quali li sostenevano economicamente. Questi personaggi hanno lasciato un’impronta profonda nella loro letteratura, mentre le prostitute sono viste con disprezzo.
Il Jñātādharma Kathā elenca i saperi delle cortigiane colte di Campa: il loro corpo era perfetto e pieno di segni di buon auspicio, erano abili nelle arti e nelle lingue nonché esperte conoscitrici delle
posizioni erotiche e dei modi di accogliere gli uomini. Secondo le fonti jaina, la prostituzione era così sviluppata che le monache dovevano essere messe in guardia circa i posti da frequentare e gli alloggi dove sostare durante le loro peregrinazioni; il pericolo della prostituzione infatti, è molto sentito in ambiente jaina: sentendo i giochi d’amore, le tensioni ascetiche si indeboliscono e i monaci devono combattere anche contro la minaccia delle prostitute che entrano nei monasteri chiedendo asilo per la notte e mettendoli in una posizione scomoda. Una regola stabiliva che non si
potevano ammettere uomini accompagnati da donne, impedimento spesso aggirato dicendo di essere fratello e sorella. Le cortigiane sono una caratteristiche fondamentale della società indiana
urbanizzata e fornivano un servizio apprezzato e socialmente accettato.

 Le donne dovevano imparare in segreto la teoria e pratica della scienza erotica e le iniziatrici al sesso erano donne abituate a giacere con gli uomini, come amiche già iniziate al sesso, zie materne della loro età, una vecchia serva di fiducia, una religiosa mendicante conosciuta da molto o una sorella maggiore.
La ricerca della completezza fa sì che i testi tecnici prescrivano che uomini e donne, incluse le prostitute, debbano conoscere le 64 arti (kalās), che per la tradizione jaina diventano 72, numero che però è frutto della tendenza medievale indiana all’esagerazione. Tra queste arti che completano la personalità e rendono più gradevole la conversazione e i ricevimenti, ce ne sono alcune che rientrano nell’educazione delle classi alte in genere, ed altre di pura speculazione per il cui studio è richiesto un considerevole tempo e che mostrano la natura altamente intelligente delle cortigiane. Nella letteratura ci sono infatti molti riferimenti al fatto che ufficiali di governo, funzionari, mercanti e banchieri visitavano regolarmente le cortigiane non solo per soddisfare i loro impulsi sessuali ma anche per godere della loro gradevole compagnia e cultura.

Le sessantaquattro kalās sono:
1. Canto (gītam)→ abilità nella musica vocale classificate dai commentari in quattro classi: note, composizione, tono ed emozione
2. Strumenti musicali (vādyam)→ conoscenza dell’intera gamma degli strumenti musicali divisi in percussioni, fiati, strumenti a corda ed altri
3. Danza (nr,tyam)→ consiste in posizioni, gesti,segni esterni dell’effetto delle emozioni e il rasa (soddisfazione estetica). È divisa in nāt,ya , imitazione delle azioni degli abitanti celesti, e anāt,ya, stile non forzato dalla tradizione ma gestito a discrezione della ballerina
4. Pittura (ālekhyam)→ si basa su sei principi: forme, misure appropriate, emozione, interpretazione del concetto di bellezza, realismo ed esatta applicazione dei colori
5. Stampi (viśes,akachchhedyam o tilaka)→ pittura eseguita con stampi in corteccia di betulla
6  Decorazione di templi con fiori e riso (tan,dula-kusumāvalivikārāh,)→ sapere fondamentale per adornare i templi di Sarasvatī e Kāma e per intrecciare fiori durante l’adorazione di Śiva ed altri dei
7. Fiori su stoffa (pus,pastaran,a)→ consiste nell’intrecciare fiori per poi applicarli su tessuti con lo scopo di ornare i templi e le sale d’udienza
8. Tinture per corpo e denti (daśanavasanān,garāgāh,)→ applicazione di zafferano e altre fragranze su corpo e vestiti nonché colorazione dei denti
9. Mosaici (man,ibhūmikā- karma)→ arte di fare pavimenti in mosaico
10. Sistemazione dei letti (sayana-rachanam)→ importante per capire lo stato mentale dell’amante
11. Ciotole con acqua (udaka- vādyam)→ il saper suonare uno strumento simile ai tamburi, formati da delle ciotole piene d’acqua
12. Giochi d’acqua (udakāghātā)
13. Pozioni e formule magiche ( chitrās,chayoga)→ si credeva che queste formule servissero a rimuovere i difetti corporei e sottomettere i propri rivali
14. Ghirlande (mālyagrathanavikalpā) → arte di intrecciare i fiori in offerta agli dei o per ornamento personale
15. Corone e ornamenti per il corpo (śekharakāpid,ayajanam)
16. Abbigliamento (nepathyaprayogā)→ modo artistico di vestirsi con ghirlande e ornamenti secondo la moda e gli usi locali
17. Orecchini (karn,apatrabhon,gāh,)→ sono uno degli ornamenti principali delle cortigiane, in particolar modo quelli d’avorio e conchiglie.
18. Preparazione di profumi (gandhayukti)→ secondo Yaśodhara quest’arte si basa su ricette collaudate, anche se pare che lo stesso termine sia usato come titolo di un libro di profumeria andato
perduto
19. Gioielli (bhūs,an,ayojanam)→ l’amore dell’India per gli ornamenti ha reso questa una vera e propria arte
20. Illusionismo (aindrajālā)→ formule che servono a distruggere le tendenze egoiste
21. Magia (kauchumāraschayoga)→ arte di conoscere le formule delle pozioni d’amore e medicine promulgate
22. Abilità manuale (hastalāghavan)→ sviluppa la manualità, soprattutto per gioco d’azzardo
23. Cucina (vichitraśākayūs,abhaks,yavikārakriyā)
24. Preparazione di bevande (pānakarasarāgāsavayajanam)→ questo genere di arte è sviluppata soprattutto nel mondo agiato, dove l’ambiente lussurioso richiede la capacità di poter servire bevande di vari tipi
25. Cucito (sūchīvānakarmān,i)
26. Colorazione dei tessuti (sūtrakrd,īā)
27. Suonare (vīn,ā-d,amarukavādyāni)→ abilità nel suonare il liuto e il vīnā e il d,amaru, ovvero un tamburo a mani indovinelli (prahelikā)
28. Giochi di parole (pratimālā)→ uno dei più diffusi consisteva nel citare dei versi e l’altro concorrente doveva citarne un altro iniziando con la sillaba conclusiva dell’avversario
29. Enigmi (durvāchakayojā) scioglilingua e versi dal significato quasi incomprensibile
30. Resoconto stilistico (pustakavāchanam)→ secondo i commentari si riferisce alla lettura del nāt,yaśāstra e kāvya per divertimento o stimolazione di sentimenti erotici
31. Narrazione di storie (nāt,akākhyāyikāvarn,anam)
32. Completamento di versi (kāvyasamasyāpūran,am)
33. Intrecciare i giunchi (pat,t,ikā-vetra-vāna-vikalpāh,)→ praticata per fabbricare stoie e letti
34. Stiratura (tarku-karmān,i)
35. Carpenteria (taks,an,am)→ comprende la fabbricazione di letti e mobili artistici
36. Architettura (vāstuvidyā)→ arte dell’arredamento e decorazione della casa
37. Stima di pietre preziose e gioielli (rūpya-ratna-porīks,ā)
38. Estrazione e levigatura dei metalli (drātuvāda)
39. Valutazione di forma e colore delle pietre (manrāgakarajñanam)
40. Arboricoltura (vr,iks,āyurvedam)→ la cura degli alberi serviva per scopi medicinali o puramente estetici
41. Allevamento (mes,akukkut,alāvakayuddhavidhih)→ conoscenza di arieti, galli pernici etc. usati nei combattimenti (famosi quasi quanto le persone).
42. Insegnare a parlare ai pappagalli (śukasārikāpralāpa)
43. Massaggi a corpo e capelli (utsādane sam,vāhane keśanardane cha kauśalm)
44. Linguaggio cifrato (aks,aramus,t,ikā)→ saper parlare per segni
45. Trasposizione di lettere (mlechchhitavikalpā)→ codice di linguaggio al fine di rendere più difficile la comprensione
46. Parlare lingue regionali (deśabhās,ā vijñānam)→ i dialetti sono usati spesso per esprimere messaggi segreti
47. Ornare carri con fiori (pus,paśakat,ikā)
48. Fare i pronostici (nimittajñānam)
49. Fabbricare macchine (yantramātr,ika)→ particolarmente utili erano quelle per portare l’acqua in alto o per misurare il tempo
50. Sviluppo mnemonico (dhāran,amātr,ikā)
51. Recitazione alternata di testi (sampat,hyam)
52. Correzione di citazioni sbagliate (mānasi-āvyakriyā)→ arte praticata per disputa o divertimento
53. Componimenti poetici (kāvyakriya)
54. Conoscenza del lessico e sinonimi (abhidhānakos,a)
55. Metrica (chhandojñānam)
56. Versificazione e forme letterarie (kriyākalpa)
57. Baro (chhalitaka-yogā)
58. Travestimento (vastragapanāni)→ arte di vestirsi in modo da non far apparire parti sconvenienti
59. Gioco per indovinare natura e quantità di oggetti nascosti (dyūtaviśes,ah)
60. Gioco dei dadi (ākars,akrīd,ā)
61. Giochi per bambini (bālakrīd,anakāni)
62. Autodisciplina e controllo degli altri (vainayikī)
63. Regole del successo (vaijayikī)→ include la conoscenza della guerra e delle armi per assicurarsi la vittoria
64. Ginnastica (vyāyānikī)→ conoscenza dei vari esercizi fisici per il mantenimento del corpo, in cui era inclusa la caccia
Le cortigiane contribuivano in larga misura a realizzare opere sociali e religiose come la costruzione di templi e bagni pubblici per i rituali. La frequentazione dell’harem reale da parte delle cortigiane ebbe come risultato la poligamia dei regnanti e quindi anche un bisogno di stabilire
un patronato della prostituzione; la cortigiana tuttavia subiva alcune limitazioni giuridiche, ad esempio non poteva lasciare eredità ai figli poiché non aveva diritti di proprietà). Nel periodo Maurya l’India era divisa in piccoli stati alle dipendenze di un impero governato centralmente. Le finanze dello stato erano integrate anche da una percentuale dell’onorario che le prostitute versavano in base ai diversi gradi, il che presuppone che la loro istituzione era legalmente
riconosciuta e fornita di diritti e privilegi; la possibilità delle cortigiane di incontrare ogni sorta di persona, inoltre, portò lo stato ad impiegarle spesso come spie.
Nel suo Arthaśāstra Kaut,ilya parla delle regole per la convivenza delle cortigiane tra loro nominando reati come diffamazione ed aggressione. Apparentemente queste regole sono stabilite per garantire la sicurezza dei clienti, ma Kaut,ilya prescrive anche regole che tutelano
le cortigiane.

Nei primi secoli dell’era cristiana l’India era caratterizzata da grande prosperità economica che permetteva a principi, funzionari e mercanti di investire nel patronato delle cortigiane. Questi protettori vivevano in capitali e grandi centri sviluppati nel commercio come Ujjain, Mathura,
Varanasi, Pāt,aliputra per cui la prostituzione divenne essenzialmente un fenomeno cittadino. L’istituzione delle cortigiane divenne un’importante parte della vita sociale e culturale indiana nel periodo Gupta, caratterizzato da una grande crescita della ricchezza. Cortigiane e
prostitute esperte erano libere di sposarsi con un uomo di loro scelta e avevano dei propri quartieri all’interno della città e dal momento che la loro professione era in stretta connessione con alcolici e giochi d’azzardo, queste zone divennero anche la sede di tali vizi e per questo erano spesso
frequentate da ministri, funzionari, ufficiali dell’esercito e ricchi mercanti. Particolarmente apprezzati in questo periodo erano i combattimenti di galli, che erano spesso accompagnati da scommesse.

Nella letteratura romantica di questo periodo molti sono i riferimenti alle cortigiane e ai loro amanti: il R,itusam,hāra di Kālidāsa, il più grande poeta dell’India, ci dà un’immagine dei
divertimenti, costumi, ornamenti e cosmetici usati dalle donne nelle varie stagioni. Il primo canto tratta del periodo estivo e molto spazio viene dedicato alla descrizione delle calde giornate di sole e le dolci notti al chiaro di luna che fornivano una cornice agli amanti. Durante questo periodo
erano molto praticati i giochi d’acqua e venivano servite bevande fredde, le donne erano ornate con gioielli e vesti leggere. Il secondo canto invece descrive le piogge, elemento molto significativo per l’India da sempre, che senza dubbio aiutano gli amanti: spaventate dal rombo dei tuoni infatti, le
cortigiane avvolgono i loro amanti con forti abbracci e le vesti bagnate, attaccandosi al corpo, rivelano le sinuose forme femminili. Nel terzo canto Kālidāsa elogia l’autunno indiano in cui sbocciano i fiori di loto, le foreste portano il profumo dei fiori di gelsomino e una leggera brezza rende l’aria fresca favorendo così le passeggiate nei parchi e le feste in giardino. L’inverno, argomento del quarto canto, è la stagione ideale per gli amanti che si avvolgono i caldi abbracci. Poi è la volta della primavera, che con la sua esplosione di colori e profumi esalta le piacevolezze della vita: le donne si adornano il corpo e i capelli con fiori di ogni genere e indossano vesti ed ornamenti variopinti.
Nel periodo post-Gupta la struttura della vita sociale continuò ad essere quella del secolo precedente e quindi anche le gos,t,hī, che si svilupparono a pieno durante l’impero Gupta, continuarono ad esistere. Di ciò è testimone la Haras,charita di Bān,a, in cui le funzioni delle gos,t,hī nel VII secolo, appaiono estremamente diversificate: le vidyāgos,t,hī, ad esempio, erano riunioni in cui partecipavano cittadini coetanei che avevano ricevuto la stessa educazione e che si incontravano per discutere di arti e letteratura, per ascoltare storie, episodi storici o recitazioni dei Purān,a; le vīragos,t,hī, invece, erano riunioni in cui venivano narrate storie di imprese eroiche.
Lo stretto contatto delle ballerine di templi e delle cortigiane con le corti, dette vita a vari scambi secondo cui i ricchi uomini di Ujjain divennero dei grandi adoratori del tempio di Kāma e si dedicarono alla sua decorazione, mentre le cortigiane partecipavano a quasi tutte le funzioni e i festival di corte.
Il Kāmasūtra, uno dei trattati più completi sulla prostituzione, è senza dubbio il testo sull’erotica più famoso ed autorevole, anche se poco innovativo. L’autore, Vātsyāyana Mallanāga, parlando di se stesso in terza persona assicurando al testo l’imparzialità di una scienza, sottolinea il carattere urbano del fenomeno delle cortigiane, considerato una forma di specializzazione professionale integrato nella società cittadina, tutt’altro che condannato ed a volte trasmesso da madre a figlia.
Kālidāsa e altri autori del periodo lo citano quasi testualmente e quindi la data di composizione del Kāmasūtra si fa risalire intorno al IV-V secolo d.C.
All’inizio del suo trattato, Vātsyāyana parla di Prajāpati, il creatore del genere umano che secondo la tradizione dettò le regole per conseguire il trivarga, costituito da dharma, artha e kāma, ovvero i
tre scopi della vita di un uomo (esiste anche un quarto scopo, il moks,a, che però non è inserito nel trivarga perché raggiungibile solo dopo la morte). Proprio per la sua funzione di terzo varga, il kāma prevede una scienza tutta sua espressa nella trattatistica, mentre il suo aspetto romantico è lasciato alla letteratura erotica composta in liriche e poemetti che tuttavia sono molto legati agli śāstra.
I centomila capitoli enunciati dal progenitore furono poi divisi in tre parti: Manu Svāyambhuva si occupò della parte riguardante il dharma, Br,haspati della scienza dell’artha e Nandin, servo di Śiva,
compose i mille capitoli sull’erotica creando il Kāmaśāstra.
Nel corso del VIII secolo a.C. Śvetaketu, figlio di Uddālaka, si dedicò all’impresa di riassumere l’opera di Nandin in cinquecento capitoli; furono poi un letterato chiamato Babhru e i suoi figli o discepoli, detti Bābhravya, a riprendere in mano la vastissima opera di Nandin. Erano
originari di Pañcāla, una regione situata tra Gange e Yamuna, ma risiedevano probabilmente a Pāt,aliputra, il grande centro dove regnava Chandragupta che divenne un secolo dopo la sede dell’impero di Aśoka. Tra III e I sec a.C., i Bābhravya, i cui manoscritti sono purtroppo andati perduti, ripresero i precedenti śāstra suddividendoli in base a sette argomenti: considerazioni generali, approcci amorosi, scelta di una moglie, doveri e privilegi di una moglie, rapporti con le mogli di altri , sulle cortigiane e pratiche occulte, che nell’ordine furono trattati da Cārāyan,a, Suvarn,ābha, Ghot,akamukha, Gonardīya, Gon,ikāputra, Dattaka e Kucumāra. Tra questi
autori spicca Dattaka che con l’aiuto delle celebri cortigiane di Pāt,aliputra, trattò il capitolo sulla prostituzione che Vātsyāyana riprodusse quasi integralmente nel suo Kāmasūtra. Quest’ultimo, convinto che la trattatistica sul kāma fosse diventata ormai troppo frammentaria e di difficile accesso, riunì le varie parti riassumendole e sistemandole con una divisione degli
argomenti che riprende quello dei Bābhravya e con una struttura simile a quella dell’ Arthaśāstra.
Come tutti i trattati tecnici indiani, anche il Kāmasūtra è scritto in versi aforistici poiché è un’opera destinata ad essere memorizzata e che l’insegnante dovrà necessariamente spiegare e commentare.
Il trattato è diviso in sette sezioni dette adhikarana, suddivise come segue:
I sezione ( sādhārana )→ presenta il contenuto delle sezioni del Kāmasūtra e parla delle considerazioni generali, la realizzazione dei tre scopi, l’esposizione della materia, il comportamento
del cittadino, l’esame di amanti e amici e l’impiego dei mezzani.
II sezione (sāmprayogika)→ descrive i piacere in base alle misure, alla durata e al temperamento, le diverse specie d’amore, abbracci, carezze, baci, modi di graffiare, morsi, consuetudini di vari paesi, modi di copulare, gusti particolari, percosse e sospiri, donne virili, sodomizzazione di ragazzi, coito orale, comportamenti prima e dopo l’atto, varianti dell’atto sessuale e dispute tra innamorati.
III sezione (kanyāsamprayuktaka)→ parla delle regole per la richiesta di matrimonio, decisione di congiungersi, ispirare fiducia alla fanciulla, interpretare il suo comportamento, la moglie unica, suscitare il desiderio della fanciulla, persuaderla, la conquista dell’uomo prescelto e i vari tipi di matrimonio riconosciuti dalla legge (Vātsyāyana predilige personalmente il matrimonio d’amore, il matrimonio gāndharva, con un’unica moglie anche se era diffusa la poligamia). Il secondo matrimonio di una vedova è ancora accettato
IV sezione ( bhāryādhikārika )→ tratta del comportamento di una moglie quando è l’unica, quando il marito è in viaggio, come agire con le altre mogli e con quelle più giovani, la vedova risposata, il comportamento di una donna ripudiata, la vita nell’harem e il comportamento dell’uomo nei confronti di numerose mogli.
V sezione ( pāradārika )→ descrive l’indole di uomini e donne e i motivi di un rifiuto, gli uomini che piacciono alla donne, le donne conquistabili senza fatica, le occasioni per conoscersi, gli incontri, l’esame dei sentimenti, il ruolo dei mezzani e i guardiani della porta dell’ harem, le avventure amorose dei signori, le donne dell’harem e come custodire le proprie mogli.
VI sezione ( vaiśika )→ contiene riflessioni sui vari clienti da frequentare, ragioni in favore di una relazione, mezzi di seduzione, come compiacere un amante, modi di guadagnare, segni di distacco, come recuperare un uomo che si allontana, modi di disfarsi di un amante e riprendersi uno vecchio, vari tipi di guadagno (per una prostituta l’artha dovrebbe essere più importante del kāma ), vantaggi e svantaggi di una relazione e i vari tipi di prostitute.
VII sezione (aupanis,adika)→ descrive i mezzi per rendersi attraente, come aumentare la potenza sessuale e le dimensioni dell’organo sessuale, come ravvivare l’ardore e le copule stravaganti.
In chiusura del libro Vātsyāyana afferma che se si è spinto troppo oltre nell’esposizione di questa materia, lo ha fatto solo perché la scienza stessa si pone in modo da analizzare ogni aspetto e aggiunge inoltre che la teoria è molto diversa dalla pratica, che andrebbe praticata solo in parte.
Benché le tecniche erotiche riguardino tutti gli uomini, il Kāmasūtra si rivolge essenzialmente al nāgaraka, il borghese agiato e colto, commerciante o funzionario di stato residente in una grande
città e che possiede quell’agiatezza economica utile per espletare al meglio le raffinatezze richieste da kāma, quali ambienti lussuosi, giardini, profumi, gioielli etc.
Il Kāmasūtra fornisce anche informazioni sulla dimora del cittadino, in cui si devono trovare letti con materassi profumati, ghirlande, unguenti, strumenti musicali e tavoli da gioco, tutte cose utili
a garantire un soggiorno confortevole. Le arti hanno un ruolo fondamentale nella vita del nāgaraka, in particolar modo la musica, danza, pittura, teatro e letteratura.
Vātsyāyana descrive le abitudini giornaliere del cittadino: si alza presto al mattino, si dedica alla cura del corpo con unguenti e fiori; dopo il pasto di mezzogiorno si dedica a parlare con gli uccelli, seguire combattimenti di animali e conversare con i propri amici che sono in genere
dei personaggi ricorrenti, appartenenti anche al teatro classico:

·        pīt,hamarda, l’intendente e maestro di danza, cioè un uomo colto privo di denaro, generalmente straniero, che si reca alle feste di persone agiate per procacciarsi i mezzi di sostentamento dando lezioni alle prostitute;

·        vit,a, il compagno di piacere, intelligente e di onorevoli natali esperto nelle arti senza patrimonio e che ha lasciato la famiglia,

·                      vidūs,aka, il buffone di corte, spesso appartenente alla casta bramanica, che si occupa soprattutto di accordi e rotture tra cortigiane e cittadini, ma vede gli amori come un impiccio alla sua tranquillità. Ha caratteristiche opposte alla casta a cui appartiene ed è proprio per questo che è comico.


La sera il nāgaraka da ricevimenti in apposite sale del palazzo e poi si ritira con qualche amico in altre stanze attendendo che giungano le cortigiane. La sua casa è infatti costituita da due appartamenti separati, il più interno dei quali è riservato alle donne, con una divisione degli alloggi in ordine di precedenza: mogli, vedove e cortigiane.
Una delle caratteristiche del Kāmasūtra è senza dubbio il suo intento di fornire classificazioni precise. Ecco quindi che Vātsyāyana parla di tre categorie di donne: la fanciulla, la vedova e la prostituta.
Secondo Gonikāputra, una donna sposata che appartiene ad un altro, può essere considerata una quarta categoria, ma per Vātsyāyana un’ulteriore categorie può essere rappresentata dagli amanti di terza natura(tritīya prakriti), cioè travestiti ed omosessuali.
Le donne sono inoltre classificate a seconda delle dimensioni degli organi genitali in:

·        cerbiatta (mr,gi)

·        giumenta (bādavā)

·        elefantessa (hastinī)

Tali tipi femminili corrispondono ad altrettanti tipi maschili che, in ordine crescente sono:

·        lepre (śaśa)

·        toro (vr,s,a)

·        cavallo (aśva)
Un’altra classificazione tiene conto invece della bellezza e del temperamento e divide le donne in quattro categorie:

·        padminī (donna loto): è il tipo più desiderabile poiché è aggraziata e bellissima, timida, leale, religiosa e distinta;

·        kitrīnī (donna variegata): è di media statura ed esile, meno spirituale della donna loto, ma è raffinata, colta e abilissima nella direzione degli affari domestici; ha molto gusto per pittura, musica e letteratura;

·        sankhinī (donna conchiglia) è il tipo comune, egoista, avida di cibo e bevande, precipitosa e violenta, portata a segnare con denti ed unghie;

·        hastinī (donna elefante): è il gradino più basso e non è per uomini di buon gusto. È sfrontata e crudele.

Queste quattro categorie hanno quattro corrispettivi maschili: lepre, cervo, toro e cavallo

Vātsyāyana elenca poi tipi di donne che si arrendono facilmente ad un corteggiamento: quella che si ferma sulla porta di casa, che guarda intensamente o di lato, che ama la vita di società, che apparentemente è molto affezionata al marito, amante dei piaceri, gelosa, avida, immorale,
sterile, pigra e la tardona. Ci sono donne invece da cui si deve stare alla larga: lebbrose, pazze, espulse dalla casta, incapaci di mantenere un segreto, spudorate, troppo vecchie, parenti, amiche, quelle che pronunciano voti monastici, mogli dei bramani e dei sovrani. Il Kāmasūtra classifica anche i vari tipi di cortigiane:

·        gan,ikā → guadagna cifre esorbitanti ed è al servizio del governo. È una bella donna versata nelle arti generalmente figlia di un’altra gan,ikā o selezionata da un sovrintendente (veśyādhyaks,a), il quale aveva il compito di pagare il salario, fornire gli articoli necessari, fissare l’onorario, detto bhoga o bhātī, e occuparsi di una “pensione” una volta terminata la professione delle cortigiane. La cortigiana riceveva un suo stipendio e probabilmente teneva per se alcuni regali ricevuti dai clienti; i gioielli sono strumenti della sua professione e servono ad aumentare il suo prestigio quindi il re non poteva confiscarli ma la gan,ikā era punita se li vendeva. Essendo proprietà dello stato, se le prostitute venivano uccise, il cliente doveva pagare una somma di 72000 pan,as, mentre se era il cliente ad essere stato ucciso, la gan,ikā subiva la pena capitale, per rassicurare gli altri clienti;

·        pratigan,ikā → lavorava in qualità di sostituta delle gan,ikā guadagnando la metà del loro salario e aspirando a diventare una gan,ikā a tutti gli effetti;

·        rūpājīvā→ prostituta indipendente che pur non essendo sotto le dipendenze dello stato paga una tassa pari a dodici giorni di stipendio (o metà stipendio in caso di restrittezze economiche dello
stato). La rūpājīvā possiede una posizione di superiorità rispetto alla pratigan,ikā e ciò è provato dal fatto che poteva risiedere a sud della fortezza, vicino ad attori, venditori di vino e cibo, e poteva accedere all’ harem reale, cosa proibita alle ordinarie prostitute. Essa spende la maggior parte del suo onorario per ornamenti e mantiene molti servi per attirare i clienti; è inoltre il tipo
di cortigiana che fu utilizzata più delle altre come spia;

·        veśyā→ è un termine generico usato per tutte le prostitute ma è usato soprattutto per prostitute la cui attività non è direttamente controllata dallo stato ma dalle autorità della fortezza, spesso utilizzate per controllare la condotta del personale militare;

·        dasī→ questo termine possiede un doppio significato: schiava associata alle attività di palazzo o comune prostituta a cui era vietato l’ingresso nell’ harem reale; è istruita sui nomi dei capi dell’esercito nemico e per questo è spesso usata come spia o per animare gelosie e tensione tra gli avversari;

·        devadāsī→ la danzatrice del tempio

·        pumśchalī→ prostituta di basso rango frequentata da clienti poco raccomandabili e per questo utilizzata per controllare le attività dei criminali;

·        avaruddhā→ prostitute professionali che vivevano come signore sotto la protezione di un maestro;

·        svairin,ī→ donna che si accoppia con altri uomini anche in casa propria perché mossa dal puro disprezzo per il marito;

·        kumbhadasī→ appartiene allo strato più basso delle prostitute ed è apparentemente impiegata nei lavori servili;

·        kulatā→ donna fuoricasta che incontra i suoi amanti in casa di qualcun’altro per paura del proprio marito

·        prakāśavinas,t,a→ donna che avendo perso la sua virt