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Saharawi

di Silvia Pochettino - 26/02/2009

      
 
  
I 42 km della Sahara Marathon si svolgono non solo in una delle regioni più inospitali del mondo, ma anche tra una popolazione e una storia tra le più dimenticate. Dopo l’invasione marocchina del Sahara sud-occidentale, il popolo saharawi si è ritrovato diviso in tre: coloro che sono rimasti nella patria occupata dal Marocco, coloro che sono fuggiti nel deserto Algerino e, infine, chi si è stabilito nei territori controllati dai ribelli del Fronte Polisario. Il Marocco decise di separare il suo territorio attraverso un impressionante muro lungo 2.700 chilometri, presidiato da 160 mila soldati e protetto attraverso sei milioni di mine anti uomo.
La Sahara Marathon vuole ricordare al mondo questo conflitto dimenticato che da trenta anni costringe un intero popolo a vivere nei campi profughi al confine col deserto.

Una donna saharawi davanti a una delle tradizionali tende del popolo nomade, nel campo profughi di Dakhla presso Tindouf (Algeria sudoccidentale, al confine con il Sahara occidentale occupato dal Marocco).
L’iniziativa
Domani al via la Sahara Marathon
Davanti il nulla. Di fianco, dietro, a lato, ancora il nulla. Solo una distesa piatta di sabbia e pietre, e polvere che vortica portata dal vento. L’altopiano dell’Hammada è il posto più inospitale della terra: in estate la temperatura supera i 50° con frequenti tempeste di sabbia, d’inverno, la notte va sottozero con punte di - 5°. Eppure proprio qui, nella regione di Tindouf, all’inizio del deserto algerino vivono da oltre trentatré anni quasi duecentomila persone, profughi del Sahara occidentale dopo l’occupazione da parte del Marocco. E proprio qui, domani, parte la Sahara Marathon, la maratona internazionale di solidarietà con il popolo saharawi, che vede confluire da tutto il mondo oltre cinquecento persone, tra atleti, staff, politici e giornalisti.
Quarantadue chilometri di marcia da el-Ayun, Auserd, Smara, passando attraverso i campi profughi e il deserto: «Una sfida fisica importante, ma soprattutto un modo per richiamare l’attenzione sulla condizione di vita di un popolo ridotto allo stremo», sostiene Leo Ramboldi, organizzatore per l’Italia della maratona. Quella dei saharawi, infatti, è una delle storie più tormentate e irrisolte del continente africano.
Popolo nomade che abitava il Sahara occidentale, colonizzato dalla Spagna dal 1884, e poi ‘svenduto’ con un accordo tripartito a Marocco e Mauritania al momento della decolonizzazione, il Sahara occidentale è stato invaso militarmente dal Marocco nel 1975 e da allora mai più abbandonato, sempre in attesa di un referendum di autodeterminazione che, promesso ancora dalla Spagna, e in seguito da numerose risoluzioni dell’Onu, non si è mai tenuto. Neppure la presenza, ormai da diciassette anni, della missione Onu Minurso, volta a vigilare sulla tregua tra marocchini e saharawi e preparare le condizioni per la realizzazione del referendum, ha cambiato le cose. Intanto sono cresciute due generazioni di giovani, senza altro orizzonte che la frontiera del campo profughi.
Tra le tante situazioni di guerre dimenticate, i saharawi sono i più dimenticati – sostiene Ramboldi –. La situazione di stallo che si trascina da decenni non fa notizia, e la gente è sfiduciata. Continua a vivere come se fosse una condizione provvisoria, non costruisce case stabili, sopravvive con gli aiuti umanitari, e intanto sono passati trent’anni».
Difficile comunque pensare di costruire qualcosa di stabile qui, in pieno deserto; impossibile coltivare, impossibile produrre; a Smara, uno dei tre centri più popolati, non c’è alcuna fonte d’acqua potabile e si vive solo con quella che arriva con gli aiuti. «La giornata nei campi? Non fare assolutamente nulla», spiega Andrea Maschio, podista di Trento che ha partecipato l’anno scorso alla maratona ed è rimasto così toccato dalla situazione incontrata che quest’anno si è coinvolto nell’organizzazione e ha raccolto personalmente aiuti umanitari per la gente dei campi. «I più fortunati fanno gli autisti per gli stranieri, o il piccolo commercio al mercato nero, molti emigrano, la maggioranza aspetta». Che cosa, non si sa. Perché nonostante la riapertura nel 2007 delle trattative bilaterali tra Marocco e Fronte Polisario (rappresentante politico del popolo sarahawi), non si profila nessuna prospettiva reale di cambiamento. I sarahawi continuano a essere divisi in tre: coloro che nel 1975, al momento dell’invasione marocchina, sono scappati verso l’inospitale deserto algerino, coloro che sono rimasti sotto l’occupazione in patria, e coloro, pochissimi, che sono andati a vivere nella zona controllata dal Fronte Polisario, nella parte più a est del Sahara occidentale. Dal 1980 Rabat ha costruito un muro in pieno deserto per ‘proteggere’ i territori occupati impedendo così, materialmente, ogni contatto tra le diverse parti.
Oggi il muro si estende per duemilasettecento chilometri, controllato a vista da più di centosessantamila soldati marocchini dislocati in duecentoquaranta presidi, con ventimila chilometri di filo spinato e, soprattutto, con oltre sei milioni di mine antiuomo e anticarro disseminate, che rendono, di fatto, inabitabili i territori controllati dal Fronte Polisario.
La situazione nei territori occupati rimane estremamente tesa: solo il 10 febbraio scorso l’ambasciatore della Repubblica araba saharawi democratica ad Algeri, Brahim Ghali, ha espresso vive preoccupazioni: «Il Marocco continua nella sua escalation, intensificando la presenza militare sul territorio del Sahara occidentale particolarmente lungo il muro», ha dichiarato. Le operazioni militari sembrano essere un messaggio per il nuovo mediatore nel conflitto dell’Onu, Christopher Ross, designato recentemente inviato speciale nel Sahara occidentale, e che dovrebbe condurre i futuri negoziati.
Secondo Amnesty International le violazioni dei diritti umani si susseguono senza tregua, intimidazioni, rapimenti, incarcerazioni politiche. A oggi sono ancora ottocento i desaparecidos saharawi di cui non si ha notizia. Anche la delegazione ad hoc del Parlamento europeo, che dal 25 al 29 gennaio scorso si è recata nel Sahara occidentale, ha avuto seri problemi a incontrare i rappresentanti delle associazioni saharawi in difesa dei diritti umani.
Ma sono possibili trent’anni di conflitto per strapparsi brandelli di deserto? Non è proprio così, perché le zone del Sahara occidentale occupate dal Marocco sono in realtà ricchissime di fosfati e risorse ittiche: secondo l’ambasciatore Brahim Ghali, il Marocco incassa più di tre miliardi di euro sfruttando le ricchezze saharawi: «Abbiamo costituito un osservatorio internazionale con sede in Norvegia formato da rappresentanti di circa trenta Paesi – spiega –. È sul punto di elaborare un documento sulla questione. L’obiettivo è di denunciare queste pratiche illegali presso l’Ue e l’Onu. Abbiamo il diritto di promuovere un’azione giudiziaria ed abbiamo inviato diffide alle ditte complici». [...]