Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Come ottimizzare la propaganda ?

Come ottimizzare la propaganda ?

di Réseau Voltaire - 12/03/2006

Fonte: Réseau Voltaire

 

L’agenzia di pubbliche relazioni Project Syndicate ha ampiamente diffuso un testo del segretario alla Difesa statunitense, Donald Rumsfeld, che chiede una riforma dei mezzi di propaganda di Washington. Tenuto conto della sua diffusione, questo testo ha suscitato un gran numero di commenti sulla stampa internazionale e ha riportato all’ordine del giorno la questione della guerra psicologica e della fabbrica del consenso. Ma, sulla stampa occidentale dominante, il dibattito non è consistito sui mezzi da mettere in atto per resistere a questa propaganda e discernere il vero dal falso. Questo dibattito si è portato sui mezzi da mettere in atto per rendere questa propaganda più efficace !

E’ uno strano spettacolo assistere, su media che si definiscono indipendenti, obiettivi e che traggono la loro legittimità da questa auto-designazione, ad un dibattito sul modo migliore per influenzare la stampa e l’opinione pubblica. Una tribuna, redatta da un membro importante di un governo, chiede che venga ripresa in mano l’informazione per servire degli interessi politici, beneficia di una diffusione mondiale e può essere letta dai lettori del mondo intero, senza che questo provochi la minima messa in discussione dei media dominanti, della credibilità delle fonti ufficiali statunitensi.



Come sempre per un testo diffuso da Project Syndicate, lo scritto di Donald Rumsfeld fruisce di una considerevole diffusione. L’abbiamo trovato pubblicato sul Los Angeles Times (Stati Uniti), sul Korea Herald (Corea del Sud), su Le Figaro (Francia), sul Daily Star (Libano), sul Jerusalem Post (Israële), su El Tiempo (Colombia), su Die Welt (Germania) e su La Libre Belgique (Belgio), ma altre pubblicazioni ci sono senz’altro sfuggite. Tale diffusione planetaria assume, nel caso di questo testo, una dimensione comica, poiché il proposito di Donald Rumsfeld è essenzialmente quello di lamentarsi sull’incapacità degli Stati Uniti di farsi sentire. Egli assicura che gli Stati Uniti ed i loro alleati sono sistematicamente denigrati su certi media manipolati dai « terroristi » che, loro sì, hanno ben capito l’utilizzo dei media. A titolo di esempio, egli deplora che si sia parlato più delle torture contro i prigionieri ad Abu Ghraib che dei massacri di Saddam Hussein, dimenticando con ciò la propaganda bellica che aveva preceduto il conflitto. Egli si rammarica, inoltre, che la diffusione di articoli favorevoli all’occupazione in Iraq grazie ai mezzi del Lincoln Group, sia stata rivelata e presentata come un « acquisto d’informazione ». Implicitamente, il segretario alla Difesa assimila dunque ogni denuncia delle manipolazioni mediatiche della sua amministrazione o dei crimini commessi dall’esercito statunitense ad un’azione favorevole ai « terroristi », anzi ad un’operazione da essi orchestrata.

Il segretario alla Difesa non precisa quali mezzi il Pentagono o l’amministrazione Bush metteranno in campo per sostenere mediaticamente la guerra al terrorismo. Si può dunque dedurre che il principale interesse di questo testo sia presentare una visione del mondo mediatica manichea, la quale definisce ogni critica agli Stati Uniti come sostenitrice del terrorismo islamista. Inoltre, egli disinnesca preventivamente ogni critica agli scandali futuri che riveli le manipolazioni mediatiche del suo governo, presentate in anticipo come derivanti dall’interesse e dalla sicurezza del « mondo libro ». Infine, l’autore insiste enormemente anche sul fatto che i mezzi da mettere all’opera devono essere nuovi, cosa che necessita di ulteriori sovvenzioni.



Non c’è da stupirsi che il cronista del Los Angeles Times e ricercatore al Council on Foreign Relations, Max Boot, plauda all’investimento del Pentagono nella propaganda. Egli, in compenso, deplora che il dipartimento di Stato non faccia di più. Sottolinea che Condoleezza Rice ha fatto compiere dei progressi alla sua amministrazione apportando più mezzi alla « diplomazia pubblica » (termine politicamente corretto per designare la propaganda), specialmente nel Medio Oriente. Ma l’autore trova sia possibile fare di più ripristinando l’US Information Agency e fornendole più mezzi. Egli chiede inoltre, in uno sconcertante accesso di sincerità, una riforma dell’USAID che la farà assomigliare al britannico ministero delle Colonie dei tempi dell’impero. L’autore, richiedendo la messa in campo di una migliore propaganda, non nasconde nemmeno più l’ispirazione delle azioni militari statunitensi.



Il decano della School of Communication dell’università di Boston, John J. Schulz, si mostra da parte sua, sul Boston Globe, molto più critico sulla politica di propaganda dell’amministrazione Bush. In ogni caso, ciò che per lui è uno choc, non è l’intenzione, ma sono i mezzi messi in atto e soprattutto il fatto che Washington si disimpegni dalla stazione radio internazionale ufficiale Voice of America (VOA), in cui egli ha collaborato per 21 anni. Schulz è esulcerato dall’appello all’innovazione di Donald Rumsfeld. Per lui, non serve a niente costruire un nuovo strumento di propaganda a colpi di milioni ; VOA è un mezzo efficace e redditizio che ha già dato prova di sé. Al contrario, gli attuali esperti dell’amministrazione Bush non hanno prodotto che spese sconsiderate o nuovi scandali.



La stampa araba, naturalmente, è ben più critica.



Soussan Al-abtah, docente universitario e giornalista libanese, prende in giro, su Asharq Al Awsat, la lamentela di Donald Rumsfeld. Ricorda che non è « Al Qaïda » a possedere i media e non è neppure questa organizzazione a proporre a giornalisti arabi di redigere degli articoli filo-statunitensi in cambio di una remunerazione. L’autrice, nel suo articolo, parla apertamente della corruzione dei giornalisti, un argomento tabù sulla stampa occidentale anche se si tratta di una pratica storicamente accertata. Ella ritiene che il testo di Rumsfeld sia infatti il segno che l’amministrazione Bush si ritrovi di fronte ad un’opposizione interna sempre più importante e che abbia offuscata la propria immagine nel mondo arabo. Washington ha dunque bisogno di rimobilitare le sue truppe e di stigmatizzare i suoi avversari.

Stessa eco da parte di Faissal Al-azel, giornalista baathista siriano, su Rezgar, giornale della sinistra laica araba. L’autore lancia un appello ai media arabi : gli organi di stampa devono rimobilitarsi e, soprattutto, riformarsi anche loro. Se il nemico trasforma i suoi metodi di propaganda, bisogna adeguarsi.



La propaganda ha un doppio obiettivo: diffondere informazioni favorevoli, ma anche impedire la diffusione di informazioni imbarazzanti. L’amministrazione Bush ha così sviluppato un’ossessione del segreto quanto alle sue attività, ossessione proporzionale al suo uso delle menzogne. Essa si è inoltre specializzata nello screditare mediaticamente i suoi avversari.

L’ex rappresentante democratico dell’Indiana, membro della commissione d’inchiesta sull’Irangate ed ex vice-presidente della Commissione d’inchiesta sull’11 settembre, Lee H. Hamilton, denuncia l’ossessione del segreto sul Christian Science Monitor e chiede una riforma delle procedure di classificazione dei documenti ufficiali. Comunque, le motivazioni dell’autore non sono prioritariamente l’informazione dei cittadini e la possibilità di sviluppare un dibattito critico a partire da documenti ufficiali. Egli ritiene piuttosto che questa classificazione appesantisca lo scambio d’informazioni tra le agenzie dei servizi USA e che l’eccesso di documenti « segreti » non permetta di controllarli tutti e dunque favorisca le fughe di notizie. Così, è in nome dell’efficienza degli organi di polizia che egli chiede un allentamento dei processi di classificazione.

Sul Los Angeles Times, l’analista neoconservatore dell’American Entreprise Institute, Danielle Pletka, denuncia l’azione mediatica della CIA che organizza delle opportune fughe di documenti segreti per scalzare l’azione dell’amministrazione Bush. L’autrice ricorda che l’agenzia ha un orientamento politico e che non bisogna fidarsi di ciò che essa diffonde. Questo scritto non è che un episodio in più nella guerra che oppone i neoconservatori ad una parte del personale della CIA. Questi ultimi, sostenendo in via di principio la politica imperiale statunitense, ma opponendosi ai bersagli e ai metodi scelti dall’amministrazione Bush, hanno organizzato sulla stampa tutta una serie di fughe di notizie che hanno indebolito la posizione della Casa Bianca. La nomina di Porter Goss a capo della CIA, poi di John Negroponte a capo di tutti i servizi statunitensi, ha l’obiettivo di purgare i servizi segreti statunitensi da questi elementi avversari.

Autori e fonti



« War in the Information Age », di Donald Rumsfeld, Los Angeles Times, 23 febbraio 2006.

« Fighting wars in today’s media age », Korea Herald, 24 febbraio 2006.

« La guerre contre le terrorisme est aussi médiatique », Le Figaro, 24 febbraio 2006.

« How to fight terrorism in the media », Daily Star, 24 febbraio 2006.

« The media war on terror », Jerusalem Post, 26 febbraio 2006.

« La guerra de los medios contra el terror », El Tiempo, 26 febbraio 2006

« Warum Nachrichten Waffen sind », Die Welt, 6 marzo 2006.

« Guerre médiatique », La Libre Belgique, 6 marzo 2006.





« Diplomacy for the real world », di Max Boot, Los Angeles Times, 22 febbraio 2006.





« Muffling the Voice of America, di John J. Schulz, Boston Globe, 24 febbraio 2006.





« !رامسفيلد..ناشط إعلامي..؟ », di Soussan Al-abtah, Asharq Al Awsat, 21 febbraio 2006.





« الإعلام ودوره في الحرب وفي السياسة », di Faissal Al-azel, Rezgar , 31 gennaui 2006.





« When stamping ’secret’ goes too far », di Lee H. Hamilton, Christian Science Monitor, 22 febbraio 2006.





« It’s no secret : The CIA plays politics », di Danielle Pletka, Los Angeles Times, 21 febbraio 2006.