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Ex Birmania: migliaia di Karen in fuga dagli attacchi dell’esercito birmano

di Ferdinando Calda - 11/06/2009

 

 
Ex Birmania: migliaia di Karen in fuga dagli attacchi dell’esercito birmano
 



Sono migliaia i profughi di etnia Karen che si stanno rifugiando nei villaggi della Thailandia settentrionale, al confine con il Myanmar (l’ex Birmania), nel tentativo di sfuggire agli attacchi dell’esercito della giunta militare birmana. Da giorni, infatti, le truppe governative stanno scatenando una violenta offensiva contro i villaggi della minoranza Karen, nel sud-est del Paese. Ieri, l’ Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) ha inviato degli uomini presso alcuni villaggi nei pressi di Mae Sot, nella Thailandia settentrionale, per cercare di raccogliere maggiori dettagli su un gruppo di karen fuggiti attraverso il fiume Moei da mercoledì scorso. Le stime sul numero di sfollati variano da circa 3mila a più di 6mila. Si tratta per lo più di persone che già erano fuggite dalle proprie case e si trovavano nei campi profughi in territorio birmano, come quello di Ler Per Her, gestisti dai ribelli del Karen national union (Knu), l’esercito che da decenni lotta per l’indipendenza del popolo Karen. In migliaia sono stati costretti ad abbandonare la loro terra dai bombardamenti a tappeto dell’esercito governativo, dai rastrellamenti e dall’arruolamento forzato nel Democratic karen buddhist army (Dkba), le forze collaborazioniste alleate delle truppe birmane.
Sono più di sessant’anni che i Karen portano avanti una strenua battaglia per la sopravvivenza, combattendo contro poteri e interessi enormi. Questo popolo, infatti, rischia di venire schiacciato, da un lato, dai potenti signori della droga (il Myanmar è uno dei maggiori produttori di oppio al mondo), dall’altro dalla giunta militare di Rangoon, che può contare sull’appoggio della Cina e delle multinazionali petrolifere europee e statunitensi, due su tutte Chevron e Total. Quest’ultima, nel 2007, è stata accusata di complicità in crimini contro l’umanità per i servizi resi alla giunta militare birmana durante la costruzione, negli anni ‘90, del gigantesco gasdotto di Yadana, nel sud del Paese. La costruzione di questa infrastruttura, che oggi alimenta le centrali elettriche della Thailandia con una produzione di 17 milioni di metri cubi al giorno, è stata, infatti, più volte al centro di indagini internazionali che denunciavano il ricorso a lavori forzati sotto il controllo dell’esercito. A questo “accerchiamento”, dall’inizio di quest’anno, si è aggiunto anche l’accordo tra la Birmania e la Thailandia. Le autorità di Bangkok, infatti, hanno vietato l’ingresso e la permanenza nel Paese dei membri dell’Unione nazionale Karen, l’organismo politico della resistenza alla giunta militare birmana, privando, di fatto, della fondamentale “retrovia” il movimento di liberazione Karen.
“Ci stanno strozzando per consegnarci ai generali di Rangoon”, commentò a suo tempo un ufficiale del Knu, sentito dall’associazione Popoli, che da anni aiuta la popolazione Karen.
“E tutto questo per fare del business”, aggiunse amaramente l’ufficiale, riferendosi, in particolare, ai lucrosi contratti firmati tra Thailandia e Birmania per lo sfruttamento di risorse energetiche e per la costruzione di dighe sui principali corsi d’acqua del Myanmar, in collaborazione con la Cina.