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Oltre la filosofia

di Alberto De Luca - 22/12/2009

Oltre la filosofia di Giangiorgio Pasqualotto (Angelo Colla Editore, 2008), più che un libro è una cortese esortazione. Meglio ancora è una
raccomandazione ed un invito alla verifica personale rivolte al lettore. “Oltre
la filosofia” riflette per l’appunto la convinzione personale dello studioso
padovano che la conoscenza non sia aridità e stucchevole formalismo. Ogni
percorso sapienziale è dunque tale nel preciso momento in cui esso viene
applicato nel quotidiano ed a questo invita Pasqualotto senza sicumera ed
apoditticità. Egli invece si limita molto semplicemente a riportare il suo
percorso, “nascondendolo” sotto il concatenamento dei capitoli del testo senza
per questo voler apparire un Maestro. Nel primo di essi, “Saggezze d’Oriente e
d’Occidente come forme di vita” che è tra l’altro l’unico contributo inedito
del volume, l’autore delinea e motiva il frutto di una esperienza più che
decennale: la conoscenza applicata che diventa forma di vita.
La distanza simmetrica da impostazioni eurocentriche, siano esse “troppo
aperte” o “troppo chiuse”, indica una terza posizione, che a noi piace definire
“possibilismo” e che designa un atteggiamento di ricerca perenne di
corrispondenze trans-tradizionali nella convinzione aprioristica che nessuna di
queste può esprimere da sola l’intera Verità (la maiuscola è nostra).
I capitoli seguenti testimoniano così la penetrazione dello studioso nei
“mondi” taoista, buddista ed indù filtrata sempre da una costante comparazione
con il natio “mondo” occidentale a corroborare appunto la presenza di parti
della Verità in ciascuno di essi, ma mai in maniera esclusiva e definitiva.
Nella critica, sempre motivata e mai preconcetta, ai vari centrismi
occidentali Pasqualotto si sofferma anche sulla philosophia perennis,
riconoscendole certamente dei meriti innegabili, ma pur sempre evidenziando la
sua tensione verso un’Unica Verità.
Su questo passaggio, però, accusiamo qualche dubbio ed in ciò siamo condotti
da una sottigliezza semantica che ci appare forse facilmente ricomponibile.
Rigettare l’assunto attinente ad un’Unica Verità (il presupposto
“perennialista”) e poi ritenere che nessuna delle varie forme di pensiero possa
esprimere “l’intera verità” (la conclusione della “terza via”), ci sembra
asseverare la medesima cosa solo procedendo con una metodologia differente. La
prima appunto si manifesta come un giudizio catafatico, mentre l’altra si
configura come apofasi.
L’unicità, poi, possiamo ben dirla interezza, giacché l’Uno plotiniano è
quell’Intero prima di moltiplicarsi.
Se fossimo confermati in questa analisi, allora la distanza della “terza via”
delineata da Pasqualotto dalla philosophia perennis sarebbe in funzione di quel
pericolo chiamato dogmatismo, che ha oggettivamente infirmato anche il
cosiddetto “perennialismo”, declinandolo in scolastica noiosa ed asfittica. Ma
il rischio del dogmatismo è come dire il rischio del razionalismo in sé: il
dispotismo della volontà della mente di non avere limiti e con esso autorità al
di sopra di essa.
Difficile è dire se questa tara sia esclusivamente occidentale, in forza a
dei rigidi preconcetti che fanno dell’Occidente greco-romano la culla della
razionalità. Difficile e forse inutile proprio perché questo pericolo, al pari
della Verità, risiede nei vari darshanas del mondo in modo diverso e
soprattutto non teme l’esclusività.
La facilità espositiva dell’autore immette nel libro una certezza in re, che
sostiene il lettore anche nel momento più difficile, quello in cui potrebbe
anche capire di aver dissipato del tempo seguendo millantati upaguru od
irenistiche palingenesi religiose.
La serietà e l’onesta intellettuale infine portano Pasqualotto a riconoscere
anche nello spirito dell’Estremo Oriente i segni del decadimento e a non
divinizzarlo.
“Il sorriso degli specchi è gia finito” ed un difficile compito si prefigura
quindi all’“incursore spirituale”: riuscire a trovare un Maestro, riuscire a
fronteggiare l’ebbrezza di una conoscenza in acquisizione (mantenendo l’
umiltà), riuscire a far seguire alle “teorie” delle azioni conformi, ma
soprattutto riuscire a vivere la conoscenza.