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Quante cose può dire una voce senza volto

di Francesco Lamendola - 22/12/2009

 

Esistono voci che chiamano continuamente: voci interiori e voci esteriori; voci benevole e voci malefiche; voci di questa dimensione e voci da altre dimensioni.
A volte udiamo queste ultime distintamente, magari nel cuore della notte: e, benché siamo certi di averle sentite con i sensi fisici, siamo perfettamente consapevoli che non possono venire da questo nostro mondo materiale, ma da un altro (cfr. il precedente articolo « Di chi è la voce che ci chiama per nome, nella notte? Da quale mondo arriva?», sempre sul sito di Arianna Editrice).
Abitiamo in un cosmo vivo, attraversato da flussi continui di forze, di energie, di pensieri positivi e negativi. Di solito ce ne rendiamo conto solo in particolari circostanze, così come assistiamo alla caduta delle stelle cadenti la notte del 10 agosto (le cosiddette «lacrime di San Lorenzo»); ma, in effetti, meteoriti attraversano l’atmosfera terrestre in ogni periodo del’anno, e la rete di energie cosmiche in cui siamo immersi non si manifesta a intermittenza, ma sempre, sia che noi ne siamo coscienti oppure no.
È quasi superfluo osservare che la maggior parte delle voci che ci giungono, nel corso della nostra esistenza, non sono dirette a noi personalmente, ma sono voci della natura, oppure voci di altri esseri umani che ci giungono per caso, frammenti di messaggi destinati ad altri; oppure ancora sono messaggi generici, standardizzati, rivolti a tutti e a nessuno in particolare. Questi ultimi sono tipici della società di massa, in cui la tecnica ha messo a disposizione dell’industria strumenti poderosi per raggiungerci e per perseguitarci quasi pressoché ovunque, ovviamente con il nostro assenso più o meno esplicito, più o meno consapevole.
Le telefonate pubblicitarie che ci raggiungono a casa; le voci pre-registrate che ci rispondono così spesso, quando siamo noi a telefonare a qualcuno; la pubblicità televisiva e radiofonica, sono solo alcuni esempi di queste voci anonime ed estremamente invasive, le quali, talvolta, riescono a introdursi nelle nostre case e nel nostro privato in una misura quale a stento si potrebbe concepire in una società che si vanta di essere razionale e gelosa della sfera di riservatezza del singolo.
Lasciamo perdere, in questa sede, il discorso sui messaggi scritti o, comunque, visivi, che ci colpiscono e, non di rado, hanno anch’essi il potere di condizionarci e di ossessionarci; tralasciamo anche non le voci, ma i rumori artificiali, che quotidianamente formano il sottofondo, per lo più sgradevole e molesto, della nostra giornata: dai martelli pneumatici alle sirene dell’ambulanza, dei vigili del fuoco, delle fabbriche, alle falciatrici elettriche, al puro e semplice brusio del normale traffico automobilistico;  e limitiamo la presente riflessione all’ambito delle voci vere e proprie: suoni vocali articolati, latori di un messaggio ben preciso in una determinata lingua.
Alcune di esse ci sono familiari, ma incomprensibili, perché parlano in una lingua che non conosciamo: tale il caso della musica leggere in lingua straniera, vale a dire in inglese, che non si può fare a meno di sentire, anche se non si possiede un impianto stereo o un mp3, perché basta entrare in un negozio qualsiasi per udire (o subire) l’ultimo successo musicale di questo o quel cantante o complesso musicale internazionale.
Già questa è una stranezza: una delle tante della modernità, epoca caratterizzata dalla fruizione abituale di beni e servizi di cui non si conosce il reale funzionamento, anzi, di cui non si sa praticamente nulla, se non il loro uso meramente pratico e strumentale: il che è come dire che viviamo un po’ tutti come dei bambini che giocano quotidianamente con dei giocatoli più grandi di loro, dei quali ci crediamo esperti, mentre non lo siamo affatto.
Ma tale stranezza si aggiunge a numerose altre, prima fra tutte la frequenza e, come abbiamo detto, l’invasività di tutte queste voci, spesso discordanti e dissonanti, le quali formano, tutte insieme, una vera e propria cacofonia babelica: voci che non abbiamo evocato deliberatamente, con un atto intenzionale della volontà, ma che ci inseguono non si sa bene da dove e non si sa bene perché, intrecciandosi, sovrapponendosi e confondendosi, sino a formare in noi, con l’abitudine, una sorta di riflesso condizionato, che noi crediamo essere perfettamente innocuo, mentre gli esperti delle tecniche pubblicitarie sanno bene che ci trascina, nostro malgrado o perfino a nostra insaputa, là dove non avremmo immaginato di andare.
Le voci della pubblicità, in particolare, sono spesso accompagnate da immagini (tranne che quelle radiofoniche); tuttavia, anche se tale sinergia crea un effetto assai potente, che sfugge alla coscienza della persona comune, è la voce in se stessa, più ancora dell’immagine, a poter suscitare in noi misteriose e profonde rispondenze, proprio per la maggior carica di suggestione emotiva che la voce umana possiede rispetto alla pura e semplice percezione delle immagini.
La voce umana è un mezzo di comunicazione estremamente «caldo», mentre le immagini, anche le più ben studiate per colpire e suggestionare lo spettatore, sono in se stesse «fredde»: al fascino sottile delle immagini si può resistere; a quello di una voce, quasi mai. Si può rimanere ossessionati da una voce più facilmente che da una immagine televisiva: perché la voce, anche se giunge da una fonte artificiale e se si rivolge indifferentemente a milioni di individui, evoca comunque la fisicità di colui che la emette; mentre l’immagine, se non è fruita direttamente, ma attraverso uno schermo elettronico (televisione, cinema, computer), per quanto coinvolgente possa essere, non riuscirà mai a dissipare interamente la consapevolezza che non si tratta di qualcosa di reale, ma di fittizio.
Questa è la ragione del disappunto che si prova allorché ci si accorge che la voce che risponde al telefono è registrata: ci sente come ingannati, traditi; o, se si aveva un forte desiderio di udire la viva voce dell’interlocutore, ci si sente, in un certo senso, beffati. E questa è anche la ragione per cui una voce udita alla radio o alla televisione, magari mentre ci si trova in un’altra stanza o mentre si è impegnati in altre cose, può risuonare per giorni e giorni nella mente, senza che alcun atto della volontà l’abbia chiamata: non a caso avevamo adoperato, in proposito, il vero «ossessionare», proprio nel senso tecnico adoperato dagli studiosi dei fenomeni occulti.
Bisogna osservare, infatti, che la voce umana, di per se stessa, è molto più di un semplice mezzo di comunicazione, come può esserlo la scrittura: i fogli di una lettera, per quanto possano contenere frasi e parole emozionanti, non arriveranno mai a suscitare quelle emozioni profonde, a volte sconvolgenti, che può produrre la voce di un altro essere umano, anche se questi non è fisicamente presente, purché si tratti di una comunicazione di carattere personale. E che le cose stiano in questo modo, basterebbe, a confermarlo, il successo commerciale delle linee telefoniche «hard»: come ben sanno, ad esempio, quei genitori che si vedono recapitare, ignari e inorriditi, bollette astronomiche dovute alle lunghe frequentazioni di esse da parte dei figli adolescenti.
Sentire, anche solo al telefono, la voce di un congiunto, di un caro amico o di un amante, costituisce una esperienza più forte, sul piano emotivo, che non ricevere una lettera, per quanto dettagliata e scritta con intensità di sentimenti (sia questa recapitata per posta ordinaria o per posta elettronica). La voce viene dalle corde vocali, e queste ultime evocano non solo la fisicità della persona, ma anche la sua dimensione intima, profonda, che sfugge allo sguardo: in un certo senso, è come parlare direttamente con un’altra anima.
La voce, inoltre, reca impresse inconfondibilmente le caratteristiche essenziali del carattere, del temperamento, della sensibilità di una persona, indipendentemente dalle cose che vengono dette; e questo, quanto e più del suo viso o del suo aspetto fisico, anche perché è molto più difficile contraffarla e mascherare non tanto i sentimenti che essa esprime, quanto la natura spirituale e profonda di colui, o colei, cui appartiene.
La nostra voce è una parte di noi stessi, perfino più del nostro aspetto fisico: quest’ultimo, infatti, può essere modificato con svariati espedienti, mentre la voce, non appena incominciamo a parlare, dice molte più cose di noi di quel che vorremmo, che ci piaccia o no.
Un osservatore un po’ attento, e soprattutto una persona dotata di un certo grado di sensibilità, non fa fatica a leggere in una voce anche quello che essa non dice, quello che si trova a di là delle parole: può capire se chi sta parlando ha fiducia in se stesso, oppure no; se è gioioso o pessimista; se è superficiale o profondo; se è felice o infelice; se ama la vita oppure no.
E questo, ripetiamo, indipendentemente dalle cose che vengono dette: perché è ovvio che, a parole, si può dire tutto il contrario di quel che si pensa; ma - ecco il punto - è molto più difficile dire tutto il contrario di quel che si è. La voce è come la firma di una persona: come il suo modo di camminare, di guardare, di respirare, ma perfino più di quelli, essa tradisce immediatamente il segreto dell’anima del suo proprietario. Con la propria voce è molto difficile barare.
Non solo. La voce è uno strumento prodotto dalle corde vocali, ma non solo da esse: pensarla altrimenti, sarebbe cadere nel più ingenuo riduzionismo. Noi parliamo con tutto il nostro corpo e con tutta la nostra anima: vale a dire che, nella nostra voce, mettiamo veramente la totalità del nostro essere, quasi senza residui - e, come si è visto, con scarse possibilità di finzione (a meno che l’ascoltatore non abbia il segreto desiderio di essere ingannato, caso che è assai più frequente di quanto non si creda; ma questo è un problema che riguarda chi ascolta, non chi parla).
Una voce sensuale può essere a stento falsificata: se una personale è sensuale, la sua voce lo rivela; se non lo è, per quanto si sforzi di sembrarlo, la sua voce non riuscirà mai ad ingannare un interlocutore attento; e ciò anche senza bisogno dell’ausilio della vista, come può essere nel caso di persona non vedente o di un rapporto esclusivamente telefonico tra due individui che non si siano mai incontrati di persona. Ecco perché l’erotismo di certe telefonate fra due amanti lontani può superare di molto quello di due amanti che abbiano la possibilità di parlarsi stando faccia a faccia.
Ed ora torniamo al discorso delle voci anonime della pubblicità che invadono di continuo il nostro spazio privato (il nostro spazio acustico, in questo caso). Coloro che studiano l’efficacia degli spot pubblicitari sanno che la voce umana possiede questo alto potere di seduzione, nel bene come nel male; e, fedeli alla vecchia regola che le cose negative colpiscono l’immaginazione più di quelle positive, spesso giocano la carta del successo di un determinato spot puntando su una voce che sia particolarmente antipatica, ma che, al tempo stesso, possieda un timbro e un potere di suggestione particolari.
Da qualche tempo, l’industria Barilla sta mandando in onda una pubblicità televisiva della pastasciutta accompagnata da una voce femminile fuori campo che dovrebbe essere quella della cantante Mina (ma alcuni hanno pensato subito all’attrice Elsa Martinelli: vedere per credere, esistono dei blog che si sono gettati a corpo morto in tale diatriba). Questa voce rimane a lungo impressa negli ascoltatori, e talvolta li perseguita per settimane, essenzialmente per due caratteristiche: è la voce di una donna anziana, ed è una voce gonfia di alterigia. Una terza ragione, più sottile ma non per questo meno importante - anzi, semmai il contrario - è che si tratta di una voce stranamente, improbabilmente, inconcepibilmente sensuale e seduttiva.
Prima caratteristica: è la voce di una persona anziana. Su questo non ci sono dubbi: la voce tradisce l’età, senza scampo; e, se è vero che ci sono persone le quali, nell’aspetto, ingannano circa la loro età anagrafica, ma fino ad un certo punto, ebbene la stessa cosa vale per la voce. Vogliamo dire che una donna di sessant’anni, ad esempio, può dimostrarne quaranta, in via eccezionale: tuttavia c’è sempre qualcosa, in lei, che ci lascia intravedere la verità. Sarebbe più esatto dire che la vediamo indossare i suoi sessant’anni come se fossero quaranta; ma si intuisce che quaranta non sono, che devono essere molti di più, anche se non si capisce bene quanti.
Ora, una delle prime regole del mondo pubblicitario è che i soggetti di essa devono essere giovani o, quanto meno, giovanili; e ciò a maggior ragione, quando si tratta di donne. Non dimentichiamo, infatti, che lo scopo della pubblicità è sempre quello di vendere cose (o servizi); quindi anche le persone, per essa, non possono essere trattate se non come cose, come oggetti: e allora, tanto vale che si tratti di oggetti belli, freschi e gradevoli.
La voce della pubblicità Barilla infrange questa regola non scritta, perché non solo è la voce di una donna anziana, ma lo è di una donna anziana che non vuole neanche fingere di essere giovanile: in breve, è la voce, piuttosto sgradevole e irritante, di una vecchia, puramente e semplicemente; di una vecchia che se ne infischia di apparire più giovane. E si noti che le immagini che accompagnano quella stessa pubblicità ci mostrano, invece, soltanto persone giovani, belle, sane e scattanti: che è come dire creare un ossimoro, ovvero mettere un quadro antico in una cornice ultramoderna. Si crea un effetto di contrasto molto forte, che lascia il segno.
Seconda caratteristica: è una voce gonfia di alterigia. Nel suo modo di scandire le parole, nel compiacimento con cui rimarca il proprio timbro di donna anziana, nella maniera artificiosa e innaturale di scandire le pause, traspare un atteggiamento non solo aristocratico, ma fastidiosamente superbo e altezzoso, proprio di una persona con la puzza sotto il naso, che guarda gli altri un po’ dall’alto in basso.
E ciò è peggio che politicamente scorretto: è imperdonabile, nel contesto di un mondo, come quello pubblicitario, ove l’assioma imprescindibile è il democraticismo del denaro: se tu puoi acquistare il prodotto in questione, allora vali esattamente quanto un conte o un marchese. «Pecunia non olet», «il denaro non ha cattivo odore», rispose Vespasiano a chi gli domandava se non fosse disdicevole, per lo Stato, riscuotere il denaro dei frequentatori dei gabinetti pubblici; così ce la racconta Svetonio, e la frase è divenuta proverbiale.
Terza caratteristica: è una voce sottilmente, ma inequivocabilmente sensuale e provocante. Questa, poi, delle tre scorrettezze di cui stiamo discorrendo, è di gran lunga la più grave: perché nella nostra società, e, a maggior ragione, nella nostra pubblicità, solo le donne giovani e belle hanno il diritto di essere sensuali e provocanti; le vecchie dovrebbero sparire, passare le giornate fra le pentole o a filare la calza per i nipotini.
La sessualità degli anziani ci turba, nel contesto di una cultura esasperatamente giovanilistica: sono passati i tempi in cui, al Carosello, recitavano attori anziani (e bravissimi) come Cesare Polacco, l’indimenticabile ispettore della brillantina Linetti: oggi c’è posto solo per i giovani e per i bellissimi (anche se non sanno nemmeno far finta di recitare), come la coppia Totti-Blasi, o per quelli che giovani cercano di fingersi, come Christian De Sica. Tanto più ci turba la sessualità delle anziane: le anziane ci fanno pensare alle nonne; e le nonne, come è noto, non dovrebbero avere desideri sessuali, né tanto meno una vita sessuale.
E adesso, ecco quella odiosa voce femminile, quella voce di vecchia presuntuosa, che ammicca segretamente e par che dica: «Cosa credete, poveri sciocchi, che io non sia ancora capace di far impazzire un uomo, se lo voglio, e di dare dei punti alle ventenni?», sovvertendo tutte le regole non scritte della pubblicità, del decoro, perfino della morale.
Nella società maschilista e perbenista, la donna che si fa avanti in un certo modo è, comunque, una poco di buono; ma se, per giunta, è pure anziana, allora lo spettacolo che offre il suo desiderio si tinge di oscenità. A Treviso, proprio in questi giorni, la stampa locale è occupatissima dal caso di una arzilla ottantenne che è stata cacciata dalla chiesa, perché da tempo molestava un quarantenne, con lettere e altri messaggi inequivocabili: una vicenda boccaccesca di provincia, che sarebbe piaciuta moltissimo a al Pietro Germi, autore del film «Signore e signori».
Ecco dove sta il pericolo delle voci che invadono continuamente la nostra vita, non cercate e non volute: che esse fanno leva sul fondo fangoso che è in noi, sulla nostra parte più squallida e meschina. Ed ecco perché esse hanno il potere di ossessionarci: perché sono un po’ come la nostra Ombra, nel senso junghiano del termine, vale a dire la nostra patte rifiutata; ma, a differenza dell’Ombra junghiana, esse evocano la parte più stupida e volgare di noi, la nostra scimmia deforme. Gli esperti di pubblicità lo sanno bene, e sanno dove colpirci.
L’unica difesa, contro una strategia così insidiosa, è la consapevolezza di dover praticare una vera e propria ecologia della mente, esattamente come si dovrebbero praticare una ecologia dell’ambiente o una ecologia dell’alimentazione. Non possiamo accogliere tutti gli stimoli che ci vengono rovesciati addosso, incessantemente e indiscriminatamente, dagli strumenti più brutti e amorali della società di massa; e, comunque, dobbiamo imparare a filtrarli, in modo da togliere il veleno a quelli più dannosi per il nostro equilibrio spirituale.
Dalle molte, troppe voci che ci bombardano attraverso la pubblicità, dobbiamo imparare a difenderci: la voce umana è una cosa seria, vorremmo dire sacrale; mentre la pubblicità ne fa un uso assolutamente spregiudicato e intollerabile.
Ridare valore al significato della voce umana, significa ridare valore al rapporto personale con l’altro: l’unica forma di comunicazione che meriti veramente tutta la nostra attenzione e la nostra sensibilità, perché l’unica che può renderci delle persone migliori: più attente, più oneste, più coerenti, più comprensive.