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Il mistero di Eta Carinae ci porta lontano nello spazio e nel tempo

di Francesco Lamendola - 27/09/2010


 

Eta Carinae è uno degli oggetti celesti più sorprendenti e grandiosi, uno di quelli che si potrebbero definire dei veri e propri «mostri del cielo»; inoltre, è sempre stato un enigma per gli astronomi, fin da quando è stata individuata al telescopio, in una remota regione del cielo visibile solo dall’emisfero meridionale.

Si tratta di una stella appartenente al gruppo delle ipergiganti blu, situata nella costellazione della Carena, una delle costellazioni del cielo australe in cui è stata suddivisa la vastissima costellazione della Nave Argo.

Fino a tempi assai recenti, quando è stata “superata” da un nuovo astro denominato R136a1, era la stella più massiccia conosciuta, con una massa superiore a quella del Sole da 100 a 150 volte, nonché una delle più luminose, ben cinque milioni di volte più del Sole; ed era classificata fra le variabili del tipo S Doradus.

Si tratta, insomma, non solo di una delle stelle più grandi mai conosciute, ma anche di una delle più grandi che possano esistere: la sua massa si avvicina, infatti, al cosiddetto limite di Eddington, oltre il quale la pressione di radiazione diventa così forte, che le parti più esterne della stella, specialmente nelle regioni polari, vengono scagliate lontano nello spazio, formando delle caratteristiche strutture a forma di clessidra.

Attualmente Eta Carinae è di magnitudine compresa fra 6 e 7 e non è isolata, ma avvolta in una nebulosa di straordinaria bellezza, conosciuta come Nebuloso della Carena (NGC3372); lancia periodicamente potentissimi lampi di energia.

Come ricorda Piero Bianucci nel suo libro «Stella per stella» (Firenze, Giunti, 1997, p. 264), tale fenomeno si è manifestato nel 1730, nel 1801, fra il 1820 e il 1827, nel 1843, nel 1890 e nel 194. Il più spettacolare fu quello del 1843, allorché giunse a brillare ben 10 milioni di volte più del Sole e, per alcune notti, arrivò ad eclissare lo splendore della vicina Canopus, nella medesima costellazione, che è la seconda stella per luminosità di tutto il cielo (dopo Sirio, nella costellazione boreale del Canis Major).

Eta Carinae non è solo un asterismo di incomparabile suggestione estetica, ma è anche uno dei corpi celesti più interessanti, e ciò appare anche all’occhio dell’astrofilo dilettante, non appena l‘abbia inquadrata nella lente del telescopio. La forte instabilità dei fenomeni fisici che la caratterizzano e la sua stessa enorme massa, lasciano pensare che Eta Carinae concluderà la sua esistenza esplodendo in una supernova o, addirittura, in una ipernova, entro alcune migliaia di anni, vale a dire un tempo astronomicamente piuttosto breve.

A dispetto delle sue enormi dimensioni, non è visibile a occhio nudo, poiché la sua magnitudine (luminosità apparente) è di appena 6,21. Altri due fattori hanno fatto che sì che, prima che Bayer compilasse il suo atlante celeste ai primi del XVII secolo (precisamente nel 1603), essa sia sfuggita alle osservazioni degli antichi astronomi: la sua declinazione, pari a -5,9, che la rende invisibile dalle regioni boreali come l’Europa, buona parte dell’Asia e quasi tutta l’America Settentrionale; e il fatto che nella vasta e complessa nebulosa in cui si trova, splendano parecchie altre stelle di quarta, quinta e sesta magnitudine.

Con un diametro che è circa 80 volte quello del Sole e una massa valutata, come si è detto, in qualcosa come 100-150 volte quella solare, Eta Carinae rappresenta un oggetto di gradissimo interesse  per gli astrofisici, in quanto piuttosto raro; una galassia come la nostra, la Via Lattea, che si può considerare di medie dimensioni, secondo calcoli abbastanza attendibili non dovrebbe contenerne più di alcune decine.

La storia delle osservazioni di Eta Carinae è stata riepilogata dall’astronomo Palo Maffei nel suo ormai classico «I mostri del cielo» (Milano, Edizioni Scientifiche e Tecniche Mondadori, 1976, pp.145-49):

 

«Da quanto ci risulti gli astronomi dell’età greco-alessandrina non la conoscevano. Tolomeo, pur avendo rilevato le stelle principali della Nave, non la citò nel suo Almagesto e neppure F. V. Houtmann la notò nel 1600, quando osservò stelle di quella regione fino alla quarta magnitudine. Comparve per la prima volta, appena tre anni dopo, nell’atlante celeste di J. Bayer, pubblicato appunto nel 1603, nel quale figurava come stella di quarta magnitudine. E Halley l’osservò dall’isola di S. Elena nel 1677 e la catalogò stimandola sempre di quarta magnitudine mentre La Caille, che l’osservò quasi un secolo dopo, la trovò più brillante (2m). A partire dal 1811 Eta Carinae cominciò ad essere osservata da J. W. Burchell, un botanico che era anche un ottimo osservatore di fenomeni celesti. Nel suo soggiorno in Africa, fino al 1815, l’osservò spesso trovandola sempre di quarta magnitudine. Nel dicembre 1829, tornando a osservare il cielo australe da San Paolo, in Brasile, si accorse con suon grandissimo stupore che Eta Carinae era diventata di prima magnitudine,confrontabile in splendore alla stella più brillante della Croce del Sud.

Nel febbraio del 1830 la stella si era leggermente affievolita, fino alla 2m, e tra 1m e 2m la trovò sempre, dal 1834 al 1837, anche John Herschel, il figlio del grande Wilhelm, che si era installato al Capo di Buona Speranza, per compiere osservazioni del cielo australe. Quest’ultimo, nel dicembre del 1837. Mentre fotometrava le stelle della zona, notò che Eta Carinae era ancora aumentata di splendore. Nel mese successivo la stella rivaleggiò con le più brillanti del cielo poi tornò a indebolirsi leggermente, di circa 1 magnitudine. ma nel marzo del 1843, quando J. Herschel era tornato nell’emisfero boreale, Eta Carinae toccò uno splendore che non aveva mai raggiunto, superando persino canopo (-0m,9). In quel periodo, che sembrò durare qualche mese, diede un n uovo aspetto a quella parte del cielo australe che dominava con la sua luce rosso arancione. Solo Sirio, la più brillante stella del cielo (-1m,6) riusciva a superare ancora in splendore questo luminosissimo astro che fino a un secolo e mezzo prima non era neppure visibile a occhio nudo [ma qui bisogna leggere: «fino a due secoli e mezzo prima», cioè, come si è visto, dai primi del XVII secolo. E questa superiorità era solo apparente perché in realtà Sirio  è una delle stelle più vicine a noi, essendo distante appena 8,8 anni luce, mentre Eta Carinae, come vedremo in seguito, dista intorno a 8.000 anni luce. Portando entrambe alla distanza standard di 33 anni luce, le loro magnitudini visuali apparenti sarebbero diventate rispettivamente 1,4 e -13,0. Nella primaveras del 1843, dunque, Eta Carinae era in realtà quasi 600 mila volte più brillante di Sirio e oltre 12 milioni di volte più del Sole.  Se fosse stata effettivamente alla distanza di 33 anni luce, alla quale si riferiscono le magnitudini assolute,  avrebbe illuminato i nostri paesaggi notturni con uno splendore superiore a quello della Luna piena. Un simile splendore è superato solo da quello delle Supernovae nei pochi giorni in cui sono al massimo. È dunque quasi sicuro che nella primavera del 1843 Eta Carinae fu la stella più luminosa dell’intera Galassia; la più brillante di oltre 100 miliardi di stelle.

Negli anni successivi lo splendore declinò e, salvo qualche massimo secondario nel 1856, 1871 e 1889, continuò a scendere, stabilizzandosi intorno alla 8m. Dal 1940, però, sta tornando a diventare sempre più luminosa e attualmente (1976) ha già raggiunto di nuovo il limite della visibilità a occhio nudo.

Questo fatto può far pensare che forse le variazioni mostrate da Eta Carinae in circa 300 anni non sono altro che un ciclo che torna a ripetersi periodicamente. Forse era proprio Eta Carinae, come riteneva l’assirologo Jensen, quella stella brillante e misteriosa che secondo le iscrizioni babilonesi, già alcune migliaia di anni fa appariva soggetta a occasionali diminuzioni di splendore.

Per ora, comunque, le uniche osservazioni sicure sono quelle effettuate dall’epoca di Halley ad oggi. […]

Le straordinarie variazioni di luminosità di Eta Carinae furono accompagnate da fenomeni spettroscopici altrettanto eccezionali. Purtroppo non si sa niente del periodo più interessante, durante il quale raggiunse il massimo splendore, e di quello precedente. La prima osservazione spettroscopica fu effettuata nel 1869 da A. Le Sueur. Si trattava ancora di un’osservazione visuale, perché solo tre anni più tardi si cominciarono a registrare fotograficamente gli spettri delle stelle più luminose, come Vega. Sembra tuttavia, dalla descrizione di Le Sueur, che lo spettro non apparisse molto diverso da quello attuale. D’altra parte venti anni dopo, alla stazione astrale dell’Osservatorio di Harvard, cominciarono a essere registrati i primi spettri, che avevano le caratteristiche di quelli delle supergiganti di tipo F5.

Questi spettri, e soprattutto quelli successivi, permisero di scoprire che Eta Carinae mostrava il più straordinario campionario di righe in emissione mai osservato in uno spettro stellare.»

 

Dal 2003 sappiamo che Eta Carinae non è una stella singola, ma binaria o, forse, multipla (vedi anche il nostro articolo «Algol, la più famosa variabile a eclisse, era già nota agli Arabi come stella del demonio», apparso sul sito di Arianna Editrice in data 12/07/2010).

La sua distanza dal Sole è  stata calcolata fra sette ed ottomila anni luce: ciò significa che la luce che noi vediamo giungerci da essa è partita, in effetti, prima che i Fenici inventassero il loro alfabeto, prima che gli Egiziani costruissero le piramidi di Giza e prima del sorgere di qualunque civiltà a noi storicamente nota.

A rigore, non siamo neppure certi che Eta Carinae esista ancora e che non sia già esplosa: se così fosse, noi lo verremmo comunque a sapere con sette od ottomila anni di ritardo. Peraltro, quando adoperiamo la parola “noi”, lo facciamo in senso improprio; ma è abbastanza evidente che, fra alcune migliaia di anni, l’uomo, così come noi lo conosciamo adesso, non esisterà più su questo pianeta che abbiamo denominato Terra: o si sarà autodistrutto, o sarà emigrato su qualche altro corpo celeste, oppure la tecnologia ne avrà radicalmente mutato le caratteristiche mentali e, forse, anche quelle fisiche.

La temperatura media, infine, dovrebbe aggirarsi intorno ai 40.000 K; quella del nostro Sole, tanto per stabilire un paragone, è, in superficie, di 5.780 K: un valore impressionante, dunque, per noi semplicemente inimmaginabile.

Notiamo, fra parentesi, che l’astronomia tende a maneggiare con una certa disinvoltura queste misure di grandezza iperbolica. Si fa presto a dire: una massa 150 volte maggiore del Sole; un diametro 80 volte maggiore; una temperatura sette od otto volte maggiore; una distanza di 7-8.000 anni luce. La verità è che si tratta di grandezze semplicemente inconcepibili, che noi possiamo bensì  formulare in maniera teorica, ma che la nostra mente, la nostra immaginazione non riescono, in pratica, ad afferrare, anzi nemmeno a sfiorare.

Come si fa ad immaginare una stella con una massa superiore di 150 volte a quella del Sole, quando già ci riesce difficile concepire un corpo celeste come il Sole, così immensamente grande rispetto alla nostra Terra? Sarebbe come se una formica, dall’alto del suo sassolino, tentasse di farsi un’idea delle montagne dell’Himalaya.

Di queste cose noi possiamo solo avere un concetto astratto, come quelli della geometria: così come non ci spaventa il concetto delle rette che corrono all’infinito, ma solo perché non tentiamo nemmeno di immaginarci delle linee FISICAMENTE ESISTENTI che si allungano all’infinito, senza principio né fine.

Non parliamo poi della grandezza “tempo”. Ci è realmente difficile immaginare un tempo così antico, che precede tutte le civiltà storiche da noi conosciute con certezza; ma che dire di un corpo celeste, come Eta Carinae, la cui età è stata stimata (peraltro con molte incertezze) intorno a 3 x 10 anni alla sesta? Come potrebbe, la nostra mente che ragiona in termini di anni o, al massimo, di secoli, concepire davvero un tempo che si misura in MILIONI DI ANNI?

Prima di congedarci da una stella come Eta Carinae, in cui tutto è grandioso e tutto affascinante, un ultimo mistero: la sua ciclicità. Si era creduto di aver individuato una certa regolarità nelle sue fasi; ma tale convinzione è andata in frantumi nel 2008, quando il suo ciclo si è bruscamente alterato…