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La fine del mondo che conosciamo e l'ascesa dell'era post carbone

di Nafeez Mosaddeq Ahmed - 12/10/2010

 
   


Soltanto 500 generazioni fa, i “cacciatori-raccoglitori” cominciarono a coltivare cereali ed a strutturare le loro piccole comunità con delle gerarchie sociali. Circa 15 o 20 generazioni fa il capitalismo industriale si è diffuso su larga scala.

Nell’ultima generazione tutta la razza umana, insieme alle altre specie e senza dubbio all’intero pianeta, è stata catapultata in una serie di crisi che molti ritengono minaccino di sfociare in una catastrofe globale: il riscaldamento globale fuori controllo, i prezzi del petrolio che fluttuano selvaggiamente, le rivolte per il cibo che scoppiano nel sud del mondo, le banche che falliscono ovunque, lo spettro degli attentati terroristici nelle grandi città e la promessa di una guerra infinita per combattere i violenti estremisti in casa e fuori.

Il tempo sta scadendo. Senza urgenti, tempestive e risolutive misure queste crisi globali probabilmente convergeranno e accelereranno nella prossima decade. Entro il 2018 le carenze di cibo, acqua ed energia potrebbero far aumentare la possibilità di conflitto fra le maggiori potenze, guerre civili e di confine. Dopo il 2020 tutto ciò potrebbe portare a delle catastrofi economiche e politiche che minerebbero il potere dello Stato e le infrastrutture nazionali e potenzialmente condurre al collasso sociale.

Il riscaldamento globale causato dall’uomo da solo può bastare per illustrare la gravità della nostra situazione. Le temperature medie su scala mondiale sono già salite di 0.7 gradi negli ultimi 130 anni. Nel 2007 l’Organizzazione Internazionale sui Cambiamenti Climatici (IPCC) ha reso noto al mondo che, agli attuali ritmi di crescita di emissioni da combustibili fossili, andremo incontro ad un innalzamento della temperatura media di circa 6 gradi entro la fine del secolo che porterà all’estinzione di massa delle specie in un pianeta praticamente inabitabile. La rivista Proceedings for the National Academy of Sciences ha riportato che le attuali emissioni derivate dai combustibili fossili stanno eccedendo il limite, superando il peggiore degli scenari.

Molti scienziati concordano che senza una drastica riduzione delle emissioni entro il 2020, siamo sulla strada di un innalzamento della temperatura di 4 gradi entro la metà del secolo con conseguenze catastrofiche, inclusa la scomparsa delle barriere coralline, lo scioglimento dei maggiori ghiacciai, la totale perdita del mare di ghiaccio Artico, di gran parte della Groenlandia e dell’Antartide ovest, l’acidificazione e il surriscaldamento degli oceani, il collasso della foresta pluviale amazzonica e la scomparsa della terra ghiacciata Artica, solo per nominarne alcune. Ognuno di questi collassi eco sistemici potrebbe innescare un processo incontrollato di surriscaldamento. Peggio ancora gli scienziati del Laboratorio Nazionale di Berkeley e dell’Università della California prospettano che siamo sulla strada di un aumento delle temperature su scala mondiale di 8 gradi entro novanta anni.

Ma la nostra super-dipendenza dai combustibili fossili è anche controproducente di per se stessa. Numerose prove dimostrano che il picco nella produzione di petrolio è imminente. Ciò avviene quando la produzione mondiale arriva al suo massimo livello e metà delle riserve mondiali di petrolio grezzo sono andate esaurite dopo di che diviene geologicamente sempre più difficile estrarlo. Ciò significa che passato questo limite, la produzione mondiale non potrà più raggiungere il massimo livello e quindi diminuirà fino all’esaurimento delle riserve. Fino al 2004 la produzione mondiale di petrolio è cresciuta continuamente dopo di che ha raggiunto una stabilità fino al 2008. Poi fra luglio e agosto 2008 la produzione è scesa di quasi un milione di barili al giorno. Sta ancora diminuendo, persino secondo i dati forniti dalla BP (che ogni anno finge che il picco produttivo non avverrà fino al 2040): nel 2009 la produzione mondiale di petrolio era scesa del 2.6% rispetto al 2008 ed è ora sotto i livelli del 2004.

La volatilità del prezzo del petrolio dovuta dal picco di produzione è stata la causa principale che ha provocato la recessione economica del 2008. Il collasso del sistema dei mutui ipotecari è stato innescato dal colpo infertogli dal caro petrolio che ha aumentato il costo della vita e condotto a una cascata di insolvenze. Uno studio dell’economista americano James Hamilton ha confermato che non ci sarebbe stata alcuna recessione senza l’esplosione dei prezzi del greggio. Mentre la recessione ha contratto la domanda, permettendo al prezzo del petrolio di ridursi, gli esperti ora mettono in guardia da un imminente crisi nella fornitura di petrolio intorno al 2014. Mentre i cambiamenti climatici intensificano i disastri naturali quali la siccità dei paesi colpiti dalla fame, le inondazioni nel sud dell’Asia e le ondate di caldo in Russia e quando l’impatto del picco dei prezzi del petrolio finalmente ci colpirà, i costi per le economie nazionali esploderanno e la produzione mondiale di cibo calerà.

Il riscaldamento globale ha già esasperato la siccità e portato una decrescita della produttività agricola nello scorso decennio, comprendendo un calo del 10-20% delle coltivazioni di riso. La percentuale di terre colpite dalla siccità è raddoppiata passando dal 15% al 30% fra il 1975 e il 2000. Se il trend continuasse, entro il 2025, 1,8 miliardi di persone vivrebbero in regioni con scarsità di acqua e due terzi della popolazione mondiale potrebbe essere soggetta a mancanza di acqua. Entro il 2050, gli scienziati prospettano che le coltivazioni mondiali di cereali potrebbero scendere di una percentuale compresa fra il 20% e il 40%.

I rilevamenti degli scienziati del SAGE dell’Università del Wisconsin e del Madison mostrano come la terra stia perdendo fertilità a causa dei recenti sviluppi dell’agricoltura. Nessuna sorpresa quindi che la produttività dei terreni agricoli sia stata fra il 1990 ed il 2007 dell’1,2%, circa la metà se paragonata al 2,1% del periodo 1950-1990. Allo stesso modo il consumo di grano ha superato la produzione per sette anni su otto fra il 2000 e il 2008.

Oltre i cambiamenti climatici, il costo ecologico dei metodi industriali sta rapidamente erodendo il suolo negli USA, trenta volte di più del ciclo naturale. Le vecchie praterie hanno perso metà del terreno fertile in 100 anni di coltivazione e ci impiegano 500 anni per recuperarne un solo pollice. L’erosione sta riducendo la produttività del 65% all’anno. La dipendenza dell’agricoltura industriale dalla fonti energetiche ad idrocarburi, con dieci calorie di combustibile fossile necessarie per produrre una sola caloria di cibo, sta a significare che l’impatto del picco del prezzo del petrolio contrarrà notevolmente la futura produzione agricola mondiale.

Ma il petrolio non è l’unico problema. Numerosi studi mostrano come le riserve naturali di idrocarburi saranno costantemente ridotte entro metà del secolo fino a divenire così scarse da risultare inutili a fine secolo, oltre che abbiamo già fatto abbastanza per catapultarci in un irreversibile processo di riscaldamento globale.

L’ex geologo della Total, Jean Laharrere prospetta che la produzione mondiale di gas avrà il suo picco intorno al 2025. Le nuove tecnologie per l’estrazione di gas naturale negli USA potrebbero prolungare tale periodo di alcuni decenni ma solo se la domanda futura non aumenterà. L’indipendente EGW (Energy Watch Group) di Berlino prefigura che anche la produzione mondiale di carbone avrà il suo picco nel 2025, mentre il giornale Science afferma che ciò potrebbe avvenire nel 2011. L’EGW afferma inoltre che la produzione di uranio per l’energia nucleare raggiungerà il culmine nel 2035. Secondo il Gruppo di Studio sull’Esaurimento degli Idrocarburi dell’università di Uppsala, l’utilizzo di petrolio non convenzionale, come il greggio ultra pesante e le sabbie bituminose, non sarà in grado di evitare il picco di produzione. Maggiore attenzione è stata riservata al torio che certamente promette di più dell’uranio, ma, come sottolineato dall’Istituto per l’Energia e la Ricerca Ambientale di Washington, necessita dell’uranio per generare una catena di reazioni nucleari e, nonostante decenni di ricerche, non è stato ancora costruito alcun tipo di reattore commerciabile.

L’esponenziale espansione della moderna società industriale nel corso degli ultimi due secoli, con l’ideologia liberale della “crescita illimitata” che la ha accompagnata, è legata indissolubilmente a due fattori:

1.L’apparentemente illimitata disponibilità di energia fornita dalla natura attraverso le riserve di combustibili fossili

2.La volontà dell’uomo di sovra sfruttare l’ambiente senza la consapevolezza dei limiti e dei confini esistenti

Ma il 21esimo secolo è l’era dell’esaurimento irreversibile delle riserve di idrocarburi e tutto ciò implica che la società industriale, nella sua attuale forma, non può durare oltre questo secolo.

Ciò significa che questo secolo rappresenta non solo la fine dell’epoca degli idrocarburi ma l’inizio di una nuova era del post carbone; dovrebbe quindi essere considerato come un epoca di “ transizione civile”. Le crisi sopracitate sono sintomi di un economia politica, di un ideologia e di un sistema di valori non più sostenibili che stanno crollando sotto il loro peso e che nelle prossime decadi saranno riconosciuti come obsoleti. La domanda che rimane naturalmente è “Che cosa prenderà il loro posto?”

Pur non essendo in grado di evitare che varie catastrofi e collassi sociali avvengano, abbiamo ancora la straordinaria opportunità di creare un alternativa per una nuova, sostenibile ed equa civiltà del post carbone. L’imperativo ora per le comunità, gli attivisti, gli studenti ed i politici è quello di iniziare a delineare i contorni di questa nuova vision ed il percorso da seguire. Ogni modello di un “nuovo mondo”, se si devono sostituire le profonde radici della struttura del modello economico corrente, avrà il compito di esplorare come si possono sviluppare nuove sovrastrutture sociali, politiche ed economiche che vadano nella seguenti direzioni:

1.Distribuzione diffusa su larga scala della proprietà delle risorse produttive affinché tutti membri della società abbiano una partecipazione nei processi produttivi agricoli, industriali e commerciali invece di una piccola minoranza che monopolizza le risorse per i propri interessi.

2.Partecipazione decentralizzata nelle politiche economiche attraverso cooperative di produttori e consumatori per facilitare il coinvolgimento nei processi di decision making delle imprese.

3.Ridefinire il concetto di crescita economica focalizzato meno sul materiale “prodotto interno lordo” e più sulla capacità di sostenere valori quali la salute, l’educazione, il benessere, la longevità e la libertà politica e culturale.

4.Sostenere la diffusione di nuove infrastrutture per l’energia rinnovabile ispirate a modelli di successo quali quello del distretto di Woking nel Surrey (UK).

5.Riforma strutturale del sistema bancario, finanziario e monetario tramite l’abolizione dell’interesse, in particolare la fine del sistema di creazione di moneta dal nulla attraverso il prestito al governo con interesse capitalizzato.

6.Eliminazione dell’incontrollato sistema del credito basato su un fallimentare modello di valutazione quantitativa del rischio in favore di un meccanismo che consenta una maggiore regolamentazione della pratiche di prestito da parte degli stessi correntisti.

7.Sviluppo di strutture politiche partecipative a base popolare che siano transnazionali ed allo stesso tempo orientate alla comunità locale attraverso cui semplificare la governante locale e garantire un maggiore coinvolgimento popolare nelle istituzioni politiche.

8.Sviluppo di parallele strutture economiche partecipative a base popolare che siano transnazionali ed allo stesso tempo orientate alla comunità locale al fine di facilitare l’emergere di un modello equo e solidale di scambio e di prestiti fra Nord e Sud.

9.Nascita di un paradigma scientifico post materialista e di una visione del mondo che riconosca che il modello attualmente in voga della fisica e della biologia mina le tradizionali concezioni meccanicistiche dell’ordine naturale, puntando a una comprensione più olistica della vita e della natura

10.Nascita di un paradigma etico post materialista che riconosca i valori e gli ideali progressisti quali giustizia, carità e generosità come più adatti alla perpetuazione della specie e in armonia con l’ordine naturale, a differenza dei convenzionali comportamenti materialisti associati al consumismo neoliberale.

Il Dr. Nafeez Mosaddeq Ahmed è Direttore Esecutivo dell’ Institute for Policy Research & Development di Londra. Il suo ultimo libro è A User’s Guide to the Crisis of Civilization

Titolo originale: "The End of the World As We Know it? ... and the rise of the Post-Carbon era ... "

Fonte: http://nafeez.blogspot.com/


Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di FRANCESCO SCURCI