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Come la Cina sta vincendo la corsa verso il petrolio

di Jon D. Markman - 18/05/2006


In questo momento gli Stati Uniti sono i più grandi consumatori mondiali di energia ma la Cina è il consumatore mondiale dalla crescita più rapida. Ciò li pone in diretta competizione per ogni nuova risorsa di petrolio greggio, gas naturale, carbone ed uranio

L’America vanta un’etica troppo marcata per ottenere benzina a basso costo?

Questa è stata l’inevitabile domanda presentata agli investitori e ai politici statunitensi dopo la visita di stato del presidente cinese Hu Jintao, mentre cresceva il prezzo alla pompa.

In questo momento gli Stati Uniti sono i più grandi consumatori mondiali di energia ma la Cina è il consumatore mondiale dalla crescita più rapida. Ciò li pone in diretta competizione per ogni nuova risorsa di petrolio greggio, gas naturale, carbone ed uranio che si materializza attraverso l’esplorazione e la ricerca – per non menzionare ogni attuale risorsa che produttori in cerca di profitto decidono di rendere disponibile a prezzi stracciati.

Sono in costante aumento le nuove risorse energetiche che la Cina sta acquistando da paesi che gli Stati Uniti disdegnano. La maggior parte di questi si trova in Africa: paesi come il Sudan, il Ciad e la Repubblica del Congo, in cui si registrano le più terribili violazioni dei diritti umani. E la maggior parte delle risorse è controllata da despoti rapaci nella repubblica del Kazakistan, in Asia centrale, o in Myanmar (la ex-Birmania, NdT), nel Sud-est asiatico.

L’acquisizione di energia è un sfida a tutto campo, nel quale ci sono vincitori e vinti. Ogni nuova risorsa di energia che la Cina incamera per accrescere la sua galoppante economia è, per gli Stati Uniti, automaticamente persa per sempre. Perciò, bisogna solo chiedersi se non sia stata l’avversione americana nel trattare con il peggiore degli “stati canaglia” del mondo a portare la benzina a salire inesorabilmente a 4 dollari al gallone durante la primavera.

Il nuovo potere coloniale

Dan Zhou, analista-capo alla CEB Monitor Group di Pechino, sottolinea come la Cina sia diventata un partner interessante per l’Africa e l’Asia centrale per quattro ragioni principali. Innanzitutto, una maggiore domanda provoca l’aumento dei prezzi per i prodotti in questione, e stiamo parlando perlopiù di materie prime come petrolio, zinco e rame. In secondo luogo, la Cina non utilizza virtualmente alcuno standard di trasparenza politica o di riforma economica, per portare a compimento gli affari. Ancora, la Cina ignora le violazioni interne dei diritti umani – considerati, di fatto, un ostacolo agli affari. Ed infine, essa rappresenta una sorta di all-inclusive commerciale: offrendo non solo investimenti, commercio, operai specializzati e armi militari ma anche protezione militare sotto forma del proprio veto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

La caccia della Cina al petrolio africano l’ha trasformata nella nuova colonizzatrice del paese, polverizzando il ricordo delle vecchie potenze europee come il Belgio, l’Italia, i Paesi Bassi, la Gran Bretagna e la Francia. Ha ottenuto questo status in un tempo da record: il commercio tra la Cina e l’Africa era di 10 miliardi di dollari nel 2000 ed è arrivato a 39.7 miliardi nel 2005. Seguono i dati delle attività cinesi nel continente africano, secondo la relazione di CEB Monitor:

Sudan: La Cina ha 4 miliardi di dollari di investimenti nel paese che si crede abbia la più grande riserva di petrolio ancora intatta di tutta l’Africa. La China National Petroleum Corp. controlla il 40% della Greater Nile Petroleum, che possiede giacimenti petroliferi, un condotto petrolifero, una grossa raffineria e un porto. Lo scorso anno, la Cina ha acquistato più della metà del petrolio esportato dal Sudan. Al contrario, il Sudan ha coperto il 6% dell’importazione cinese di petrolio, circa 200,000 barili al giorno.
Angola: I suoi pozzi offshore hanno fatto di questo paese il secondo maggior produttore africano di petrolio. Al febbraio di quest’anno, l’Angola aveva esportato il 13% del suo petrolio alla Cina – facendone il maggior acquirente del paese. La Cina ha depositato circa 3 miliardi di dollari sotto forma di prestiti per assicurarsi il diritto di precedenza sul petrolio angolano e ha fornito al paese ingegneri e operai specializzati per lo sviluppo dei giacimenti. La Cina è anche il più grosso donatore di aiuti del paese.
Nigeria: Questo è il maggior produttore di petrolio africano e fino a poco tempo fa non era compreso tra i paesi fornitori della Cina. Ad ogni modo, la più grossa compagnia petrolifera statale cinese, la Cnooc, lo scorso mese ha acquistato il 45% di un giacimento petrolifero e di gas per 2.27 miliardi di dollari e ha acquistato inoltre il 35% della licenza di esplorazione del Delta del Niger per 60 miliardi di dollari.
Altre parti dell’Africa: la Cina è attiva nella Guinea equatoriale, in Ciad e Gabon, ha fatto investimenti per 170 miliardi di dollari nelle miniere dello Zambia ed è diventato il maggior fornitore e commerciante di armi dello Zimbabwe; questo commercio è portato avanti attraverso Robert Mugabe, “proscritto” dalla diplomazia globale.


Acquirenti meno inopportuni

In America Latina, la storia è più o meno la stessa: la Cina è diventata pian piano una sorta di partner elitaria per regimi oppressivi, paranoici o con ambizioni regionali che vogliono acquistare armi e carri armati con la vendita di petrolio e di minerali.

Secondo il Los Angeles Times, l’amministrazione Bush ha discusso seriamente con i diplomatici cinesi, incoraggiandoli a cambiare atteggiamento e spedendo forze nel sud del paese. Questa situazione diventerà sicuramente un problema perchè il Sudamerica, ricchissimo di metalli, energia e risorse agricole, è sempre più nelle mani di ideologi decisi a snobbare gli interessi degli Stati Uniti, a favore di acquirenti meno propensi alle ingerenze interne.

In questo momento, la Cina è il secondo partner commerciale del Sudamerica, avendo sorpassato l’Europa. Dal 2001 al 2006, le esportazioni verso la Cina sono aumentate del 500%. Stando a fonti pubblicate, nel solo 2004, il presidente Hu Jintao ha firmato accordi del valore di 100 miliardi di dollari per i prossimi dieci anni. Seguono i dati della CEB Monitor, sugli accordi commerciali suddivisi per paese:

Brasile: il paese più grande del Sudamerica vende alla Cina minerale di ferro, soia, cotone, petrolio e zucchero e insieme stanno sviluppando satelliti e equipaggiamento aerospaziale. La Cina ha promesso nuovi investimenti a breve termine del valore di 10 miliardi di dollari.
Argentina: ha firmato accordi con la Cina per un totale di 20 miliardi di dollari di investimento nei prossimi dieci anni. La Cnooc sta costruendo una base petrolifera offshore.
Venezuela: Questo paese è la terza risorsa più importante per l’approvvigionamento petrolifero degli Stati Uniti, ma i contrasti politici e sociali hanno portato il capo del governo, Hugo Chavez a ricercare partner alternativi. Chavez ha in progetto di raddoppiare l’esportazione del petrolio alla Cina fino a 300.000 barili al giorno, circa un quinto del milione e mezzo di barili che vengono spediti giornalmente agli Stati Uniti. I cinesi stanno acquistando partecipazioni in diversi giacimenti petroliferi, rendendo la loro quota inaccessibile ai consumatori statunitensi.
Ecuador: Questo è uno dei tre maggior produttori di petrolio per l’approvvigionamento della costa orientale degli Stati Uniti. La Cina ha acquistato un solo giacimento e sta negoziando per altri pozzi.

Nel frattempo, il presidente Hu JinTao ha trovato nell’Arabia Saudita un altro regime repressivo che vuole prendere le distanze dagli Stati Uniti. Hu Jintao vi si è recato lo scorso gennaio e ci è ritornato questo mese durante il suo viaggio di ritorno dagli Stati Uniti: il commercio di armi e di trasferimenti di tecnologie sono stati gli argomenti principali di discussione. La Cina ottiene circa un ottavo delle sue importazioni dai sauditi, e il commercio si è quasi decuplicato, fino ad arrivare a 14 miliardi di dollari dal 2000.

Come è facile immaginare, l’Iran è il paese della regione del Golfo che più velocemente sta stringendo i legami con la Cina. Ci sono voci, non confermate, che stimano da 70 a 100 miliardi di dollari la somma che Hu Jintao si è impegnato di spendere per lo sviluppo di un immenso bacino petrolifero in Iran; un quinto della somma, circa 20 miliardi di dollari, servirebbe per l’acquisto di gas naturale allo stato liquido per i prossimi venticinque anni. Zhou afferma che una compagnia cinese sta ampliando la linea della metropolitane di Teheran, un’altra sta dotando la rete urbana di fibre ottiche ed altre stanno costruendo fabbriche automobilistiche ed elettroniche. Non ci vorrà molto tempo prima che l’Iran diventi la più grossa fornitrice di petrolio cinese: e ciò significherebbe contrapporre i suoi interessi politici ed economici a quelli dei politici e dei consumatori degli Stati Uniti.


I nostri vicini e i loro

Possiamo infine concludere con le repubbliche dell’Asia centrale, una volta appartenenti all’Unione Sovietica, tutte situate a ridosso della Cina. Da qui, partono giornalmente in direzione Cina circa 500.000 barili di petrolio, attraverso oleodotti e petroliere. Questo è stato un grande aiuto ai “commissari del popolo” del Kazakistan, il cui PIL ha raggiunto i 56 miliardi di dollari grazie allo sviluppo dei suoi bacini ricchi di energia tramite le esplorazioni statunitensi, europee e russe. Il paese confina da un lato con l’enorme provincia cinese dello Xinjian, e si sta sviluppando velocemente per incrementare il commercio da entrambe le parti, non soltanto quello riguardante petrolio e gas ma anche cemento e manufatti.

In ogni modo, i cinesi non hanno lasciato i paesi democratici fuori dalla lista dei possibili acquirenti. Un paio di anni fa, la Cina ha acquistato una grossa quota di partecipazione della grande miniera canadese Noranda, e ha dozzine di rapporti d’affari con i singoli produttori di petrolio, gas e carbone delle regioni di Alberta e Saskatchewan. Come dire, niente è lasciato al caso; nello stesso palazzo dove si trova il mio ufficio a Seattle, uno speculatore ha aiutato degli imprenditori cinesi ad acquistare privatamente partecipazioni su miniere di carbone, oro e argento.

Per i distaccati investitori statunitensi, la cosa più ovvia da fare è semplicemente aggregarsi, prendendo posizione tra le compagnie nazionali ed internazionali che riforniscono il colosso cinese: siano esse la canadese Falconbridge (metallo), un produttore di energia turco come la Toreador Resources in Texas, un produttore di petrolio e gas venezuelano come Harvest Natural Resources oppure come le due grosse compagnie energetiche cinesi, la Cnooc o la China Petroleum & Chemical.

Il consumatori non possono far molto, a parte indignarsi e, al massimo, limitare il proprio consumo del combustibile fossile. La Cina non ha nessun incentivo per sottomettersi alla richiesta degli Stati Uniti di esigere un cambiamento dei regimi repressivi dei suoi partner commerciali. E i politici non sono inclini a far posto a regole che limitino la partecipazione statunitense a quella sorta di mediazione corrotta e per mezzo di armi che sembra essere indispensabile quando si fanno affari nella zona equatoriale, luogo dove si sta scoprendo la maggior parte delle nuove fonti energetiche.

E così, siamo di fronte a un solito caso di “se non li puoi battere, fatteli amici”. Stringere la mano alla Cina se si deve ma continuare comunque ad acquistare miniere e a trivellare il fondo marino in questo mercato al rialzo per accaparrarsi le materie prime, a vendere SUV (Sport Utility Veichles, NdT), a traslocare vicino all’ufficio, ad installare pannelli solari e a far pace con l’energia nucleare.

 

Jon D. Markman è direttore del notiziario di investimento indipendente 'The Daily Advantage' e scrive settimanalmente per CNBC su MSN Money, i cui articoli vengono ripubblicati su TheStreet.com.

 

 

Sulla Cina vedi 'Cina SpA – La superpotenza che sta sfidando il mondo', di Ted C. Fishman.

 

Fonte: http://www.thestreet.com/_tsclsii/comment/investing/10281893.htmlong
Traduzione a cura di Simona Casadei per Nuovi Mondi Media