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Tutte le bugie del Gse sulle energie rinnovabili

di Diego Carmignani - 10/02/2011



Wwf, Legambiente e Greenpeace contro il report in cui l’Autorità per l’energia attacca gli incentivi alle fonti pulite, senza menzionare i 400 milioni per il nucleare.
Pochissimi giorni fa è rimbalzata in ogni dove la definizione “stangata” in riferimento al costo dell’energia rinnovabili per le tasche degli italiani. Conseguenza di natura giornalistica del rapporto che il Gse, gestore servizi energetici, e l’Aeeg, autorità per l’energia elettrica e il gas, hanno stilato per rendere conto dello stato del mercato dell’energia elettrica e del gas naturale e dell’integrazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili.
 
Il dato emerso nella documentazione inviata al Governo è che le nostre bollette, per effetto di un sistema di incentivi molto profittevole, prevedono un prelievo complessivo che è passato dai 2,5 miliardi di euro del 2009 ai 3,4 del 2010, mentre nel 2011 potrebbe arrivare fino ai 5,7 miliardi totali. Nell’illustrare con allarme i numeri, il Gse suggeriva di rivedere, appunto, il sistema di incentivazione «per attenuare l’impatto che tali costi determinano sulle bollette di famiglie e imprese e rendere le incentivazioni maggiormente efficienti», mettendo sul banco degli imputati soprattutto il fotovoltaico e il famoso sistema della discordia Cip6.
 
Un vero fulmine a ciel sereno in vista di un approvvigionamento energetico che è destinato a diventare sempre più verde, ma che da noi è minacciato dal costoso e pericoloso ritorno al nucleare. Non si sono fatte attendere le motivate e agguerrite critiche delle maggiori associazioni ambientaliste, Wwf, Legambiente e Greenpeace, che in un esaustivo comunicato congiunto spiegano le tante «miopie strumentali» presenti nel report.
 
Innanzitutto, va sottolineato il controsenso dell’Authority, che non considera né l’impatto macroeconomico dello sviluppo delle rinnovabili (a maggiori costi corrispondono effetti netti positivi, da 23 a 27 miliardi di euro al 2020 secondo lo studio Irex 2010), né le specifiche indicazioni della Commissione europea che nella comunicazione Renewable energy: Progressing towards the 2020 target, per garantire il conseguimento degli obiettivi 20-20-20, ha indicato di inserire i costi delle incentivazioni «fuori bilancio», facendoli dunque sopportare dai consumatori piuttosto che dalla fiscalità, in modo da evitare le tipiche interruzioni congiunturali “stop-start”. In più, viene sottolineata una macroscopica verità: il peso per tutti i contribuenti dei cicli combinati o del nucleare, il cui sviluppo è costato e costa 400 milioni di euro l’anno, saldandosi per giunta con le ricerche italiane per scopi militari.
 
In sostanza, proclama il comunicato, «gli incentivi alle rinnovabili sono l’equivalente civile di quanto hanno fatto per altre tecnologie energetiche i programmi militari e spaziali, cioè incentivi all’innovazione». E le fonti verdi sono poi un investimento a botta sicura, a differenza dell’obsoleta via atomica, che i nostri governanti intraprendono con preoccupante spavalderia. Basterebbe un paragone per farli ricredere: per lo smantellamento dei vecchi impianti nucleari, nel 2009, la Sogin ha ricevuto oltre 217 milioni di euro, contro i 144 destinati tra ottobre 2008 e agosto 2009 al conto energia.