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La questione nucleare

di Eduardo Zarelli - 23/03/2011

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Dopo l’approvazione, nel luglio 2009, della cosiddetta “Legge Sviluppo” e del decreto legislativo n.31 del 15 febbraio 2010, sono state ormai poste le basi per il ritorno dell’Italia alla produzione di energia elettrica da fonte nucleare. Ora, alla luce della catastrofe in Giappone si riapre il dibattito e la stessa autorità politica sembra voler prendere tempo per la riflessione indotta. La cancelliera Angela Merkel ha oggi dichiarato che «Più presto la Germania uscirà dal nucleare meglio sarà». La Germania è l'unica tra le maggiori nazioni del mondo ad essere determinata ad abbandonare l'energia nucleare per i rischi correlati a questa tecnologia. La maggiore economia europea sta stanziando miliardi di euro per usare le fonti rinnovabili in modo da soddisfare i suoi bisogni. Era programmato che la transizione avvenisse per gradi nei prossimi 25 anni, ma il disastro alla centrale di Fukushima ha accelerato il processo.
Il nucleare serve solo a produrre elettricità mentre una corretta politica energetica deve basarsi anzitutto sulla riduzione dei consumi mediante l’eliminazione degli sprechi e l’aumento dell’efficienza energetica, poi sullo sviluppo dell’energia solare e delle altre energie rinnovabili. Le Regioni italiane possono e devono giocare un ruolo importante in tal senso, anche perché la direttiva europea 28/2009 obbliga l’Italia, entro il 2020,  al 20% di risparmio di tutta l'energia, così al 20% di fonti rinnovabili e a diminuire del 20% l'emissione di CO2, coprendo il 17% dei consumi finali con energie rinnovabili e il nucleare - se realizzato - porterebbe un modesto contributo del 5% solo dal 2020.  È un percorso virtuoso, nel quale non c’è spazio per scorciatoie superficiali. Dov'è la convenienza economica a insistere su una tecnologia vecchia e pericolosa? Dov'è l'orizzonte europeo e internazionale dell'Italia in questa scelta? Che patto generazionale è mai quello che lascia alle future generazioni per centinaia, migliaia di anni (in alcuni casi per periodi tanto lunghi che è perfino difficile immaginare) le conseguenze di un sistema energetico che durerà, una volta costruito, 50 o al massimo 60 anni? Non è assurdo che una battaglia tra pro e contro il nucleare debba svolgersi proprio nel Paese del sole, del mare, del vento? L'ennesima miopia della politica incapace di pensare per paradigmi e di emanciparsi dai determinismi tecno-economici. Una politica rivolta allo sfruttamento delle potenzialità del solare e delle altre fonti rinnovabili e alla riduzione razionale dei consumi sarebbe un motore importante per un diverso modello economico nel nostro paese. Mentre i costi delle energie rinnovabili scenderanno certamente nei prossimi 10 anni, i costi del nucleare sono per loro natura non ben definiti e destinati ad aumentare, tanto che probabilmente la costruzione delle centrali, se mai inizierà, dovrà essere molto probabilmente sospesa perché fra dieci anni il nucleare non sarà più economicamente conveniente.
In molti paesi d’Europa, Germania in testa, è in atto una silenziosa rivoluzione basata su una filiera che parte dalle attività di ricerca nelle Università, negli enti pubblici e nelle aziende e si estende alla produzione di materiali, alla sperimentazione di impianti su larga scala e all’installazione diffusa di impianti domestici. L’idea di un abbattimento sostanziale delle emissioni di CO2 e di una forte indipendenza energetica sta uscendo dalla dimensione del sogno utopico e entrando in quella di un concreto fattore di sviluppo che traina l’economia culturalmente e produce posti di lavoro. L’enorme ulteriore vantaggio di una scelta in favore delle energie rinnovabili sta nel fatto che un euro di investimento oggi può cominciare a produrre energia e a contribuire all’indipendenza energetica in pochi mesi. Nel caso del nucleare, invece gli enormi investimenti di oggi porteranno a produrre nuova energia nel migliore dei casi tra dieci o quindici anni. I prudenti dicono - ad esempio - che si potrebbero creare 100mila posti di lavoro nelle rinnovabili, altri più entusiasti 250mila (fonte Il Sole24ore) soprattutto se si decidesse a prendere il treno (questo sì) di costruire autonomamente almeno parte delle relative tecnologie e magari di sviluppare la ricerca in sede nazionale. Per un Paese come il nostro ricco di fonti energetiche naturali ed inesauribili, basta adocchiare oltre il Tirreno l’esempio della Spagna che produce già il 25% del suo fabbisogno energetico tramite fonti alternative ed ha in programma la costruzione di 20 centrali ad energia solare che raddoppieranno la produzione pulita d’elettricità. L'Austria produce già ora il 60% del fabbisogno nazionale da fonti rinnovabili; la Germania e la Svezia si accingono a ridimensionare pesantemente il loro programma nucleare a favore dell’energia pulita. Non solo: nell'indifferenza dei media nostrani in Germania sta per partire il progetto Desertec per la costruzione di una immensa centrale solare nel deserto del Sahara in grado di produrre almeno il 15% del fabbisogno energetico di tutta l'Europa entro il 2025. Secondo gli esperti di Siemens, una superficie di 300 chilometri quadrati nel Sahara, dotata di specchi parabolici, potrebbe essere sufficiente a coprire il fabbisogno energetico di tutto il pianeta. "Il sole – ricordano in una petizione oltre 600 docenti e ricercatori italiani - è una stazione di servizio inesauribile che in un anno invia sulla Terra una quantità di energia pari a diecimila volte il consumo mondiale". Se solo la metà dei fondi attualmente utilizzati per la ricerca nucleare fossero destinati allo sviluppo delle fonti pulite e rinnovabili di cui il nostro Paese è ricco, l’Italia (Paese meridiano per condizione naturale e vocazione culturale) in poco tempo potrebbe raggiungere la piena autosufficienza energetica, senza alcun pericolo e a costi contenuti, attraverso grandi centrali termodinamiche e la diffusione dei pannelli fotovoltaici sui tetti delle case e dei capannoni industriali.
In merito alle legittime considerazioni sull'emancipazione dalle volubili fonti di approvvigionamento internazionali, anche nel progetto nucleare l'Italia importerebbe energia primaria da sorgenti esterne e inoltre si orienterebbe verso un processo di erogazione e distribuzione poco flessibile. Quale è la valutazione fornita dal decisore politico sul futuro del Paese che porta alla preferenza per la erogazione di energia nucleare estero-dipendente rispetto alla erogazione di energia diffusa, basata sulle risorse proprie del nostro territorio? Ci possono essere argomentazioni razionali per la preferenza nucleare, ma a noi sembra totale l'assenza di analisi progettuale su tale dilemma. Oggi in Italia non esiste l'alimentazione nucleare, ed esiste una piccola penetrazione della tecnologia di alimentazione solare nelle sue tre forme o canali inorganici: termico, elettrico, eolico. Poi ovviamente c'è il canale organico o biologico, il cibo, quello tradizionale noto e sfruttato da sempre. Peraltro, il trasporto dei generi alimentari a lunga distanza è basato sull'uso di mezzi energivori (tutti a loro volta basati sulla sorgente petrolio), che si contrappongono alla dinamica di produzione e consumo locale. La movimentazione dei generi alimentari e di prodotti trasformati su lunghi tragitti è tarda erede di una contraddittoria fase storica di industrializzazione per paesi a bassa densità di popolazione, ma è discutibile per un paese come l'Italia. L'energia elettronucleare dovrebbe operare nel contesto generale della vita attiva e produttiva, della sua reale identità naturale e culturale, quindi dovrebbe essere giustificata da scelte che tengono conto di varie alternative progettuali. Quale futuro a lunga distanza propone la politica?
C'è certamente un dilemma e dunque la scelta nucleare deve essere discussa molto seriamente e non fatta passare come semplice decisione settoriale, con il coraggio di sottrarsi a soluzioni di parte, all'insegna dell'interesse generale e di un chiara visione degli equilibri internazionali. È chiaro che il posizionamento dell’Italia nel sistema di alimentazione nucleare globale è assoggettato a un complesso di pressioni esterne e di schieramento geopolitico occidentale e queste devono essere rese palesi e discusse nel loro fondamento. È evidente infatti che il tipo di società che si configura per il futuro non è lo stesso nel caso nucleare e nel caso solare. L’Italia - in tal senso - si trova a un bivio. Tentare la strada della leadership nella scienza del futuro, l’eco-fisica e nelle tecnologie appropriate che ne conseguono - ossia entrare in collaborazione con la Germania in un reale respiro europeista - oppure seguire la strada del vassallaggio e della subalternità ad un mondo unipolare tramontato nei fatti, ma non nel servilismo e nella debolezza della sovranità politica.