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René Guénon e i princìpi del calcolo infinitesimale

di Gianmaria Merenda - 03/10/2011

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Lo spirito critico e “di intransigente e puntigliosa requisitoria”(p. 222) di questo saggio è evidenziato nel finire della Postfazionedi Paolo Zellini, il quale afferma che anche nella moderna notazionematematica sono “distinguibili tracce insospettabili delle piùantiche tradizioni religiose e metafisiche” (p. 223).
Certo è cheil lungo e denso scritto del filosofo francese è un diretto e acutoattacco alla scienza moderna, scienza che Guénon definisce profanain quanto, a suo parere, non più capace di cogliere lo spiritoqualitativo del suo proprio essere, in contrapposizione a uno stiledi ricerca quasi esclusivamente quantitativo. Un rimando diretto aquesta mancanza della scienza sarebbe l’uso convenzionale deisimboli che non sono più colti nella loro dimensione reale: “quandosi perde così completamente di vista il significato di unanotazione, è fin troppo facile passare dal suo uso legittimo evalido a un uso illegittimo, che non corrisponde più a nulla direale e talvolta può persino risultare del tutto illogico” (pp.15-16). Punto cruciale di questa incapacità della scienza, dellamatematica in questo particolare frangente, è la mancanza diprincìpi o il loro inesatto utilizzo. Ad essere analizzato in ognisua articolazione metafisica è il calcolo infinitesimale: soloLeibniz è individuato come autore di numerosi problemi concernentile fondamenta filosofiche del calcolo, Isaac Newton non èmenzionato, come se per Guénon non ci fossero dubbi sulla paternità.

Un concetto su tutti è individuato dall’autore per mettere in luce leincongruenze epistemologiche: quello di infinito. Per Guénon ilconcetto metafisico di infinito è spesso confuso con quello, piùeminentemente matematico, di indefinito. L’infinito è un concettometafisico che indica ciò che non ha limiti, che non lascia alcunchéfuori di sé e che non ha contraddizioni in sé: è il “Tuttouniversale” (p. 22). Ogni tipo di utilizzo e di interpretazionedifferente da quello proposto dall’autore è di per se improprio eforiero di imprecisioni e illogicità. Se il “Tutto universale” èciò che tutto contiene senza lasciare spazio fuori di sé ed è ciòche non può essere diviso perché non esistono limiti di riferimento(non ci sono determinazioni quantitative che possano definirlo),l’associazione del concetto di infinito alla matematica èimpropria: “concepire l’Infinito quantitativamente non significasoltanto limitarlo, ma concepirlo altresì come suscettibile diaumento o diminuzione, il che non è meno assurdo” (p. 25). Per l’autore, meno assurda da gestire e da utilizzare in campomatematico è la nozione di indefinito: “mentre il finitopresuppone necessariamente l’Infinito - poiché quest’ultimocomprende e avviluppa tutte le possibilità -, l’indefinito procedeinvece dal finito, di cui non è in realtà che uno sviluppo e alquale di conseguenza è sempre riconducibile” (p. 32). L’esempio portato all’attenzione del lettore è la serie indefinita dei numeri che si forma aggiungendo un’unità all’ultimo numero dellaserie disponibile. Anche nella suddivisione numerica tra il numero 1e il numero 2, secondo Guénon, non c’è spazio per l’infinitopoiché tra i due numeri si può trovare solo una quantità indefinita di frazioni che stanno sempre all’interno di unintervallo finito e non nell’Infinito. Da subito si capisce che il tono dello scritto è quello puntiglioso descritto da Zellini. Non c’è spazio per aperture e per un utilizzo differente del concettodi infinito che non sia quello delimitato da Guénon. Affrontandoaltri concetti, come quello di zero (un’assenza di quantità, nonun numero, che non può definirsi limite, cfr. p. 138 nota) o dilimite (il limite esiste solo nel rapporto di quantità fisse e nontra quantità variabili come nel calcolo,cfr. p. 197), lo stile ed il piglio non cambiano.

Ciò che sembra essere importante per Guénon è poter dimostrare che non è il calcolo in sé, al quale egli riconosce una certa utilità, ilproblema, quanto la differenza tra la scienza tradizionale e lascienza da lui definita profana. La scienza profana è definita analitica, limitata all’analisi del particolare, delle apparenze esterne. È quella scienza che ha prodotto il moderno agnosticismo:“poiché, essendovi cose che non possono essere conosciute se non sinteticamente, chi procede soltanto con l’analisi è indotto perciò stesso a dichiararle “inconoscibili” - e in questo modoinfatti lo sono -, al pari di chi, limitandosi a una visioneanalitica dell’indefinito, può crederlo assolutamente inesauribile, mentre in realtà lo è solo analiticamente” (p.188). Altra cosa è la conoscenza globale che solo la scienzatradizionale può fornire con il suo metodo sintetico: dalla leggegenerale al particolare contingente. Solo la conoscenza sintetica deiprincìpi può aprire la strada alla vera conoscenza. Da queiprincìpi si potrà sempre calcolare uno qualsiasi dei fenomeni checi appaiono. Ed è qui che si svela il senso di un libello che piùche essere pedante vorrebbe essere da stimolo per una nuovaconsiderazione della scienza. Quello che pensava Guénon era difornire un esempio che potesse riconsegnare alla scienza tutto il suo spettro di indagine e non solo la limitata apertura del quantitativo:“Qui, con un esempio caratteristico, abbiamo appunto voluto dareun’idea di ciò che sarebbe possibile fare, almeno in certi casi,per restituire a una scienza mutilata e deformata dalle concezioniprofane il suo valore e la sua portata reale” (p. 203).

Breve ma chiarificatrice la Postfazione di Paolo Zellini. Si apprende di un anacronismo nella critica di Guénon al calcolo ideato da Leibniz: il filosofo tedesco non aveva a disposizione i concetti di limite e di funzionedi cui disponiamo oggi ed è forse per questo che le sue spiegazioni furono ambigue in alcuni punti e produssero discussioni e critiche. Zellini conferma che la moderna scienza non è del tutto estranea alle più antiche intuizioni metafisiche, anzi, proprio per questasua eredità, la scienza permette un accesso alla conoscenza del reale che ci circonda.