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Il nuovo governo? E' il sistema che è sbagliato

di Massimo Fini - 21/11/2011


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Molti si sono meravigliati che dopo le dimissioni di Berlusconi il famigerato spread con i bund tedeschi non sia affatto diminuito e che le Borse europee abbiano continuato ad andare in altalena. La sinistra ha accolto la cosa con un certo imbarazzo, il centrodestra ne ha preso spunto per affermare che Berlusconi non era il responsabile della crisi. Che la crisi in quanto tale, riguardando l’intero mondo occidentale, non sia addebitabile a Berlusconi è fuori discussione. La responsabilità specifica del Cavaliere è di averne nascosto, anche a se stesso, con quell’ottimismo che sta nel suo Dna ma che è anche una tattica, la gravità, e di non aver preso a tempo i provvedimenti necessari. Ha usato la consueta tecnica del rinvio che in altri campi, per esempio quello giudiziario, gli ha sempre giocato a favore, contando che la situazione in qualche modo si risolvesse da sè.


In fondo Berlusconi è l’italiano tipico che spera sempre nello stellone e che ci sia qualcun altro a togliere per noi le castagne dal fuoco. Ha cercato di sostituire, com’è suo costume, le parole ai fatti, ma quando ha tentato questo giochetto illusionista, con quella ridicola «lettera d’intenti» che rinviava tutto, ancora una volta, alle calende greche, con i partner europei, a loro volta in difficoltà e quindi poco disponibili a concessioni «a gratis» questi lo hanno messo con le spalle al muro e lo hanno costretto a togliere le tende. È a causa di questi ritardi del Cavaliere (oltre che di un enorme debito pubblico accumulato negli anni Ottanta) se oggi l’Italia, partita meglio rispetto ad altri Paesi europei più o meno della stessa caratura, si trova in una situazione peggiore di Spagna e Portogallo che certe misure draconiane hanno avuto il coraggio di prenderle prima. Mario Monti eredita quindi lo strascico dei ritardi di Berlusconi. E per quanto sia più serio, più realista del Cavaliere e abbia una credibilità internazionale che l’altro aveva dilapidato anche a causa di comportamenti molto infantili, non è pensabile che possa risolvere con la bacchetta magica, solo in forza del suo nome, problemi tanto incancreniti.


Ma all’interno di questo sistema Monti è sicuramente l’uomo giusto al posto giusto. Il problema è che è sbagliato il sistema. Come abbiamo detto mille volte il modello di sviluppo partorito dalla Rivoluzione industriale, dopo due secoli e mezzo di una forsennata cavalcata, è arrivato al suo limite. L’industrialismo è prima fallito «sub specie» comunista e ora fallisce anche «sub specie» capitalista. È paranoico inseguire il mito delle crescite esponenziali quando, con tutta evidenza, crescere non si può più. Può darsi quindi che Mario Monti riesca, per il momento, a metterci una pezza per l’Italia. Ma poi toccherà alla Francia, quindi alla Germania, all’intera Europa, agli Stati Uniti, all’India, alla Cina, ai cosiddetti paesi «emergenti». L’economia di carta, come l’ha chiamata già nel lontano 1969 l’americano David Bazelon, l’economia del denaro e della finanza, che è consustanziale al sistema industriale e nient’affatto una sua degenerazione ma una sua precondizione, ci crollerà addosso. E nemmeno Domineddio potrà salvarci dalla catastrofe che, con l’ottuso ottimismo di Candide, ci siamo andati a cercare.