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“Marcire… non marciare!”

di Enrico Galoppini - 28/03/2012


 

 Le autorità dello Stato sionista hanno parlato chiaro: “No pasaran!”.

I “fascisti”, in questo caso – e certamente anche un po’ “antisemiti” – sono i ‘marciatori’ che il 30 marzo, dalle frontiere dei paesi limitrofi cercheranno di attraversare il confine per recarsi a Gerusalemme e perciò “liberarla”.

Si tratta, com’è evidente, d’una iniziativa simbolica, poiché non è sensatamente immaginabile che delle persone disarmate, ancorché in numero non trascurabile, riescano a bucare le fittissime maglie dello Stato più protetto del mondo. E difeso da una cortina propagandistica che non ha eguali, poiché, com’ebbe a dire qualcuno: “I media non sono sionisti… i media sono il Sionismo!”.

Eppure, forse ringalluzzito dalla (scontata) impunità dopo l’assassinio deliberato di alcuni attivisti turchi a bordo della prima Freedom Flotilla, Israele minaccia fuoco e fiamme anche all’indirizzo dei “pacifisti” che questa volta hanno optato per la via di terra, anche perché proprio il 30 marzo è “la Giornata della terra”, celebrata ogni anno dai palestinesi e dai loro sostenitori in tutto il mondo.

L’accusa, in caso di superamento dei confini (o di semplice eccessivo” avvicinamento), sarà quella di “ingresso illegale”, così, per evitare di mettere in galera un bel po’ di gente e doverle perciò mantenere ‘vitto e alloggio’, da Tel Aviv hanno inviato “lettere” ai governi di Giordania, Egitto, Libano, Siria (“primavera” o no, non fa differenza), oltre che alle due “autorità” che si contendono la scena palestinese, quella di Ramallah e quella di Gaza (in Palestina, per la cronaca, siamo ancora in pieno “inverno”!).

Le parole d’ordine della “Global March to Jerusalem” non sono certo di quelle che fanno tremare i polsi. Le riportiamo direttamente in inglese, poiché la campagna è internazionale: “Freedom for Jerusalem”, “No Occupation”, “No Ethnic Cleansing and Segregation”, “No for Judaising of Palestine, its land and holy sites”. Non sono propriamente quel che si dice una “dichiarazione di guerra”, eppure in Israele è massima allerta, e poco ci manca che non si gridi al “complotto antisemita” e agli immancabili “Protocolli”.

Come andrà a finire è praticamente scontato. Tafferugli e tensione a non finire ai vari punti di frontiera, un bel po’ di manganellati e avvelenati dai lacrimogeni, altri rintontiti dalle bombe sonore, qualcheduno acciuffato, e pure qualche malcapitato che ci rimetterà un occhio senza sapere chi ‘ringraziare’; nell’ipotesi peggiore ci scapperà il morto – magari anche più d’uno - e chi s’è visto s’è visto, anche se dovesse trattarsi di un cittadino di “serie A” (occidentale), perché quando ti metti contro il Sionismo decàdi di fatto dalla protezione da parte delle tue “autorità” (che in tal modo rivelano a chi davvero obbediscono).

Come ho già sostenuto in altre occasioni, non ci si deve illudere di spuntarla con argomenti razionali, per di più da “tribune” che non hanno alcuna possibilità di competere con quelle di cui questi filibustieri sono dotati, accreditandole col passare del tempo presso un pubblico di fessacchiotti, menefreghisti e opportunisti. Loro hanno “ragione” per definizione, così se la cantano e se la suonano sui cosiddetti “mezzi di informazione”, tutti saldamente in mano loro: manifesti pacificamente e ti mandano in carrozzella a vita? Eh, dovevi startene a casa, te la vai a cercare! Un ente internazionale sui “diritti umani” che già fa le pulci a tutti osa commentare i comportamenti dell’“unica democrazia del Medio Oriente”? In quattro e quattr’otto s’interrompono unilateralmente i rapporti con l’ente in questione. E nessuno che s’azzarda a proferire parola: loro escono sbattendo la porta, ma tutti gli altri ‘comuni mortali’ sono obbligati a rispettare gli “standard” (di “democrazia”, “libertà”, “diritti umani” ecc.). Anzi, sono questi enti, solitamente inflessibili, ad essere sottoposti alla “valutazione” dell’occhiuta Lobby che guida il Sionismo.

È questo l’aspetto davvero insopportabile della storia. Che ciascuno faccia il suo tornaconto, su un certo piano è persino comprensibile. Ma che gli si trovi sistematicamente una giustificazione, e nessuno si azzardi a criticare questi campioni dell’arroganza planetaria, questo è sinceramente inaccettabile e indegno di esseri umani che vogliono ancora concepirsi come tali, e non come pecore matte”.

Fino a quando andrà avanti, ad esempio, l’assedio alla popolazione della Striscia di Gaza? Dobbiamo credere che sia più grave “marciare” – disarmati! - in direzione di Gerusalemme, o marcire in un fazzoletto di terra sottoposto ad embargo e bombardamenti da oltre quattro anni? Qua, se solo va via la corrente elettrica una mezza giornata succede una tragedia (con alte lamentazioni sui “danni alla produzione”), ma a Gaza sono regolarmente più le ore senza di quelle con la centrale in funzione. Qua, si mette il bollino “adatto ad un pubblico adulto” ad un film (ma che vorrà mai dire? Se un film “non è adatto”, non lo è proprio per nessuno: mica che un adulto può sorbirsi tutto lo schifo senza venirne devastato!), ma lì i bambini ne hanno viste di cotte e di crude, senza che alcun famoso “psicologo” si muova a compassione.

Come da copione, Israele lancia le parole d’ordine della “provocazione”, del “diritto di esistere” in pericolo, dell’orda che va ammassandosi alle frontiere. Che buffi che sono: predicano (agli altri) il “mondo globale”, lodano (per gli altri) le virtù dell’ibridazione e della “società multietnica”, propinano (agli altri) bei discorsi sul valore e la necessità della “accoglienza”. E che fanno se bussi alla loro porta (blindata)? Come minimo rischi una “ispezione corporale”, e passando per delizie quali il sequestro di persona e la tortura, c’è pure il rischio di tornare a casa orizzontale, in una bella bara. Ché, se sei un palestinese che intende tornare “illegalmente” a casa sua, è praticamente l’eventualità più probabile. Uno strano modo di concepire i “diritti dei migranti”, non c’è che dire!

Strani “migranti” i palestinesi. Non piacciono praticamente a nessuno, men che meno allo stesso sistema che impone un acritico rispetto per una categoria che, nell’immaginario “progressista”, ha sostituito quella del “proletario”. In maggioranza esuli e rifugiati, addirittura in casa propria, vivacchiano negli Stati limitrofi, in attesa dell’agognato “ritorno”. Per essi, dunque, alternative non esistono: “marciare non marcire”, come dicevano i Futuristi un secolo fa.

Ma dall’“unica democrazia del Medio Oriente” è giunto l’avviso perentorio: “Marcire… non marciare!”.