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Che fine ha fatto il premier australiano Harold Holt?

di Francesco Lamendola - 10/04/2012


 


 

Il 17 dicembre 1967 un uomo di cinquantanove anni, ma ancora prestante e giovanile, si tuffa nelle acque dell’Oceano Indiano meridionale, davanti agli amici, da Point Nepean, davanti all’Albergo Portsea, in località Cheviot Beach, a sud di Melborune, la metropoli capitale dello Stato australiano del Victoria, che oggi conta ben quattro milioni di abitanti.

Benché il mese di dicembre nell’emisfero australe corrisponda al mese di giugno nel nostro emisfero, e dunque alla stagione balneare australiana, si tratta pur sempre di un mare fra i più insidiosi del mondo, a quasi quaranta gradi di latitudine Sud ( i celeberrimi “Quaranta Ruggenti” dei navigatori in solitario): gelido, ventoso, con delle onde gigantesche e, come se tutto ciò non bastasse, infestato in ogni stagione dell’anno dagli squali, cui si devono, ogni anno, alcuni casi di attacchi, talvolta letali, ai bagnanti.

Se poi si aggiunge che quel non più giovanissimo signore era reduce da una recente ferita che, evidentemente, ne menomava le pur notevoli doti di nuotatore; e, soprattutto, se si precisa che non era una persona qualsiasi, ma il Primo Ministro in carica del Governo australiano, Harold Holt, leader del Partito Liberale, il quadro dell’intera vicenda si fa ancora più strano, per non dire inquietante.

Sta di fatto che, quella, fu l’ultima volta che Harold Holt venne visto da qualcuno: sparì fra le onde e non se ne seppe più nulla, nonostante le affannose ricerche subito avviate dalla Guardia costiera e sollecitate dall’opinione pubblica.

A differenza di quello che succede di solito in simili casi, il corpo non venne mai ritrovato: il mare non lo restituì alla spiaggia e quando, il 19 dicembre, dopo quarantotto ore di frenetiche ricerche, le autorità dichiararono la sua morte presunta, un profondo sconcerto si impadronì di tutti, tanto più che si trattava di un personaggio assai popolare e stimato non solo tra le forze di maggioranza, ma in tutto il Paese e anche all’estero.

Il presidente degli Stati Uniti, Lyndon B. Johnson, che già l’anno prima aveva condotto un giro di propaganda in Australia a sostegno del governo liberale e per spiegare le ragioni della guerra in Vietnam, in cui l’Australia medesima era fortemente impegnata (nonostante la decisa opposizione dei laburisti), ritornò appositamente per partecipare al funerale: uno strano funerale, senza feretro né sepoltura; più che altro, una cerimonia commemorativa.

Sua moglie, l’ex stilista Zara Fell, sposata nel 1947, aveva già un matrimonio alle spalle e si accingeva a celebrarne un terzo, poco dopo la scomparsa di Holt, con un collega di partito di quest’ultimo; nel frattempo, però, aveva fatto in tempo a ricevere la prestigiosa onorificenza DBE, ossia Dama Commendatrice dell’Impero Britannico.

Ma chi era, nella vita privata, David Holt, che, nato nel 1908 e divenuto ministro già nel 1939, a soli trentun anni, era riuscito a salire sul seggio politico più alto nel 1966,  divenendo Primo Ministro dopo il liberale Robert Menzies?

Di lui si era sempre detto che fosse un playboy del jet-set e che amasse le belle donne e il bel mondo della moda e dello spettacolo (era egli stesso figlio di un noto regista teatrale); e bellissime erano anche le tre giovani figlie che sua moglie Zara si portava dal precedente matrimonio, raffigurate insieme a lui in una fotografia, scattata proprio davanti all’albergo in cui sarebbe avvenuta, di lì a poco, la tragedia: da sinistra, Caroline, Amanda e Paulette.

Pare che avesse un’amante, dal momento che, dopo la sua scomparsa, alcuni ipotizzarono, niente meno, una fuga romantica con lei, senza dover dare spiegazioni né alla moglie, né ai colleghi di partito e agli elettori, che certo non avrebbero capito; ma questa è soltanto uno dei numerosi tentativi di trovare una risposta all’enigma di quel 17 dicembre 1967.

Altri si sono spinti ad ipotizzare che il fiero sostenitore del conservatorismo australiano, irriducibile sostenitore dell’impegno militare in Indocina al fianco degli Stati Uniti, fosse, in realtà, una spia al servizio del nemico, ossia della Repubblica Popolare Cinese; e che un sottomarino cinese, appunto, lo avesse prelevato quel giorno, al largo di Melbourne, per trasportarlo a Pechino, verso una nuova vita in strettissimo incognito. È questa la tesi sostenuta dal giornalista britannico Anthony Grey nel suo libro-shock «Il Primo Ministro era una spia», apparso nel 1983, che suscitò, come è ben facile immaginare, un autentico vespaio di discussioni e di polemiche.

Un’altra spiegazione chiama in causa addirittura gli alieni: Harold Holt sarebbe stato rapito da creature extraterrestri, così come, del resto, sarebbe capitato a parecchi altri rappresentati della razza umana, rapiti a bordo di astronavi (o, magari, di sottomarini alieni) per fungere da cavie in chissà quali programmi di ricerca finalizzati ad acquisire una migliore conoscenza della forma di vita dominante sul pianeta Terra.

Infine c’è un’ipotesi assai più prosaica, secondo la quale il Primo Ministro si sarebbe, semplicemente, suicidato: avrebbe cercato la morte, cioè, vuoi per le preoccupazioni politiche (fra l’altro, una fronda interna stava crescendo all’interno del suo stesso partito, per non parlare dell’intransigente opposizione dei laburisti), vuoi per possibili intrighi sentimentali ai quali non vedeva ragionevoli vie d’uscita o, forse, segreti inconfessabili che, se venuti alla luce, avrebbero potuto non solo travolgerlo, ma anche disonorarlo.

Quello che è certo è che la morte di Holt, al quale è stato dedicato un complesso di piscine nel Centro Olimpico di Melbourne, sul momento venne giudicata strana ma non sospetta, tanto è vero che nessuna inchiesta venne aperta al riguardo; solo nel 2003, dopo che le leggi dello Stato di Victoria sono cambiate, la sezione scomparsi della polizia ha deciso di riaprire il caso, a ben trentacinque anni di distanza dai fatti.

L’inchiesta è durata due anni e alla fine, nel 2005, il coroner di Victoria (ossia l’ufficiale giudiziario incaricato di chiarire le circostanze della morte di un individuo), ha dichiarato chiuso il caso, affermando che Harold Holt doveva essere deceduto per annegamento, anche se il cadavere non è mai stato ritrovato, ciò che rende la conclusione meramente ipotetica.

Che dire di questo ennesimo mistero del mare?

Ogni anno, nel mondo,  scompaiono molte migliaia di persone, sulla terra, in mare o nel cielo; e di queste una parte sembra sparita nel nulla, poiché non viene ritrovato alcun indizio che permetta di avanzare delle ipotesi: né frammenti di abiti, né chiazze d’olio o relitti (nel caso di imbarcazioni a motore o di aerei), insomma niente di niente.

In alcuni casi si tratta di sparizioni volontarie, da parte di persone che vogliono far perdere ogni traccia di sé, vuoi per suicidarsi, vuoi per rifarsi una vita in luoghi e circostanze totalmente diversi da quelli precedenti; in altri casi, di eventi accidentali, quali cadute in montagna o, appunto, annegamenti in mare, nei laghi o nei fiumi; in altri ancora, di rapimento a scopo di lucro o di vendetta, eventualmente seguito da omicidio; in alcuni, infine, manca qualunque traccia che consenta di formulare la benché minima ipotesi, beninteso ragionevole.

Harold Holt era un forte nuotatore e una persona molto sicura di sé; baciato in fronte dalla fortuna sin da giovane (a ventisette anni era già membro della Camera), ammirato e amato dalle donne, ammirato e forse invidiato dagli uomini: nella sua vita aveva conosciuto sempre il successo e assaporato notevoli soddisfazioni personali, mentre la sua carriera era stata una metodica, inarrestabile scalata verso le vette del potere.

Cionondimeno, egli aveva ormai raggiunto la fatidica soglia dei sessant’anni; il suo orizzonte politico non era privo di ombre e, forse, lo stesso poteva dirsi per la sua vita privata: grinta e ambizione non garantiscono l’infallibilità né, tanto meno, l’invulnerabilità.

Forse, in quel giorno di dicembre di oltre quarant’anni fa, Harold Holt, semplicemente, peccò di leggerezza e di vanità, sopravvalutò le proprie forze e andò incontro, quasi banalmente, a un crampo alle gambe o a una congestione intestinale, che vanificarono la sua perizia di nuotatore e lo condussero a una inattesa morte per annegamento.

L’ipotesi spionistica è suggestiva, ma un po’ troppo macchinosa, un po’ troppo alla 007; quella dell’intrigo sentimentale è avvincente, ma priva di riscontri oggettivi, così come quella del suicidio; restano le ipotesi degli extraterrestri o, magari, del “buco” spazio-temporale, che potrebbe avere inghiottito il premier australiano; ipotesi che, se appaiono alquanto spettacolari, non possono però invocare alcun elemento di sostegno, né alcun indizio a favore.

Le persone possono scomparire nel nulla?

Sempre restando in ambito australiano, molti forse ricorderanno il bel film di Peter Weir «Picnic a Hanging Rock», del 1975, direttamente ispirato a un romanzo di Joan Lindsay, in cui si narra della inesplicabile sparizione di alcune ragazze frequentanti un collegio privato, nel corso della gita di fine d’anno scolastico presso una roccia sacra agli aborigeni, che sarebbe avvenuta nei primi anni del XX secolo.

Anche lo scrittore americano Ambrose Bierce trattò, in un suo racconto, il tema delle scomparse misteriose di esseri umani: in quel caso, un agricoltore che sparì, letteralmente, sotto gli occhi della moglie e dei figli, mentre si dirigeva dai campi verso casa e che non venne mai più ritrovato, quantunque, alcuni giorni dopo, una delle sue figlie ne udisse la debole voce, quasi proveniente da una dimensione parallela alla nostra. Ironia del destino, lo stesso Bierce doveva scomparire nel nulla, in Messico, durante la rivoluzione, tanto che l’anno stesso della sua morte rimane incerto: il 1913 o il 1914?

E che dire della intrepida aviatrice americana Amelia Earhart, scomparsa col suo aereo nell’Oceano Pacifico occidentale e mai più ritrovata? Era il 1937 e vi fu chi la disse catturata e fucilata come spia dai Giapponesi, che, a quell’epoca, avevano già iniziato la loro guerra del Pacifico (anche se gli Stati Uniti non vi erano ancora coinvolti); altri ancora ipotizzarono che avesse esaurito il carburante e che fosse precipitata in volo.

In Cina, nelle Montagne Qinling, nel corso di una sola notte, il 10 ottobre del 2010, sarebbe scomparso un intero villaggio, e ciò in corrispondenza con una serie di avvistamenti anomali, forse di astronavi aliene; si dice che l’intera zona sia stata isolata dall’esercito, che avrebbe impedito l’accesso a chiunque e soffocato, così, il diffondersi della notizia.

Anche la colonia inglese di Roanoke, in Virginia,  fondata nel 1587, scomparve senza lasciare traccia di sé; nessuno dei suoi membri venne mai ritrovato - eppure si trattava di un centinaio di persone -, né venne mai trovato il più piccolo oggetto o il più labile indizio della loro fine.

Dunque, non si può escludere che anche la scomparsa di Harold Holt abbia a che fare con la dimensione del mistero e che possa rimandare a un ordine di fenomeni che non sono quelli conosciuti dalle normali leggi della fisica.

È impossibile dirlo: una cosa ci sentiamo di dire, e cioè che la pretesa degli scettici che l’onere della prova spetti a chi fa una affermazione o a chi avanza una teoria anticonformista per spiegare un determinato fenomeno, crea un circolo chiuso, in cui, dietro le apparenze del rispetto per il rigore logico del’indagine sui fenomeni naturali, si cela un evidente sofisma: perché mai si riuscirà a spiegare i fatti che non trovano collocazione nel vigente paradigma scientifico, se non si ammette, almeno come ipotesi di lavoro, che sia necessario modificare il paradigma stesso e riconoscere che siano possibili fenomeni che oggi la scienza dichiara impossibili.

Ci rendiamo conto che questa è una strada densa di pericoli, perché, percorsa in maniera sconsiderata, potrebbe avvalorare qualunque ipotesi peregrina e qualsiasi stramba elucubrazione; e tuttavia ci sembra chiaro che da essa soltanto possono scaturire nuove interpretazioni di fatti inspiegabili e nuove prospettive sul reale: su quel reale che noi crediamo di conoscere così bene, solo perché giriamo elegantemente la testa dall’altra parte, ogni qualvolta ci imbattiamo in fatti che la scienza non sa spiegare.

Così, per non mettere in crisi le nostre fragili certezze, tanto spesso preferiamo ignorare i fatti: e questo è un gravissimo errore concettuale, perché i fatti hanno sempre ragione; sono le teorie che possono avere torto…