Siria: Certezze ed incertezze della guerra mediatica
di Roland Hureaux - 27/06/2012
Fonte: informarexresistere
Per il nostro editorialista associato Roland Hureaux, i reporter occidentali presenti in Siria si lasciano troppo spesso tentare dalla trappola del manicheismo della Stampa in un contesto certamente più ambivalente di quello che sembra.
Non è necessario essere un sostenitore del regime di Assad, ma semplicemente un osservatore che ama la verità per rimanere perplesso davanti i racconti di atrocità legate a ciò che bisogna assolutamente chiamare la guerra civile di Siria. Il numero totale delle vittime (10 000, 20 000?) è molto incerto, come avviene d’altronde in tutte le tragedie di questo genere in cui è felicissimo l’osservatore o lo storico che riesce già ad avere un’idea del numero esatto degli zeri.
L’altra domanda, che ci si pone, è di sapere chi è il responsabile di questi massacri. Dato che ci sono due campi che dispongono di armi letali, si può supporre, come in tutte le guerre, che il bilancio sia condiviso, senza dubbio in modo difforme ma tuttavia condiviso, soprattutto se taluni avversari di Assad si dichiarano di Al-Qaida, che non passa per essere un’organizzazione umanitaria. Ma non appena sono annunciate delle atrocità, la stampa occidentale, e cioè i giornali stamapati a grande tiratura e gli importanti media audio-visivi, (internet è da lasciare a parte ), è quasi unanime nell’imputarne immediatamente la responsabilità al regime.
Così come fu nel caso della starge di Houla, ( 108 morti di cui 49 bambini, si dice. Ma chi ha diffuso queste cifre così precise e chi è in grado di certificarle? ). La stampa occidentale a immediatamente accusato le forze (armate) del regime di Assad anche se questa città era, sembra, sotto controllo dell’opposizione. I paesi occidentali e arabi hanno immediatamente rispedito gli ambasciatori di Siria come rappresaglia contro il potere in carica. Tuttavia le informazioni ricevute da allora rafforzano l’ipotesi che la responsabilità di questo massacro potrebbe essere piuttosto attribuita agli opponenti, (e se tutti i cadaveri esposti fossero stati raccolti sul campo di battaglia e non tirati fuori dall’obitorio come è stato nel caso di Timisoara?). Gli stessi dubbi esistono nella maggior parte degli incidenti più diffusi attraverso i mass media di queste ultime settimane.
Si nota d’altronde che la principale fonte degli organi di stampa occidentali, il sedicente Osservatorio siriano dei diritti umani si riassume in un solo uomo,Rami Abdulrahman, opponente esiliato da molto tempo e residente a Coventry. Quando si annunciano all’inizio di giugno 55 morti ad Al Koubeir, 87 morti ad Hama, è lui all’origine dell’informazione.
Formulando queste osservazioni, noi non diciamo ne che il regime di Assad sia innocente, ne anche che non gli siano attribuibili la maggior parte delle responsabilità dei massacri. Ma anche se gliene si potesse attribuire la responsabilità esclusiva, il fatto che ogni volta che un’atrocità viene alla luce, bisogna sistematicamente imputargliela è perlomeno improbabile. Tanto più che negli ultimi venticinque anni si è assistito al moltiplicarsi, sul tema umanitario, di alcune manipolazioni dell’opinione pubblica internazionale su larga scala, tutte le volte portate avanti con la più perfetta abilità professionale: Timisoara, il Kosovo, le pretese armi di distruzione di massa dell’Iraq, il Ruanda, ( ove certamente l’opinione pubblica internazionale è stata informata dei massacri, ma non di tutti, e nemmeno dei più gravi). Ammettiamo pure che la minaccia che il regime di Gheddafi facesse incombere su una parte dei suoi compatrioti fosse stata davvero reale e potesse giustificare un intervento militare, rimane il fatto che i danni causati da questo (intervento) - con questa -150 000 vittime, secondo certe fonti- non siano invece ancora noti.
La deformazione dei fatti moralizzante
Se si tenta poi di vederci chiaro nei meccanismi mediatici in opera in questi affari, si potrebbero ricondurre a due semplici molle sociologiche che che interessano i giornalisti di professione, specialmente i più giovani. La prima è la deformazione dei fatti moralizzante che li spinge a cercare in tutte le situazioni necessariamente complesse dei buoni e dei cattivi. Questo approccio presenta per loro più vantaggi: perché permette di comprendere velocemente, (o meglio di avere l’impressione di comprendere) una situazione complicata; questo approccio fa di ogni giornalista un missionario o un giustiziere, non solamente un relatore di fatti, ma un agente del bene e, realizzando questo, esso coincide abbastanza con la psicologia del grande adolescente idealista che è sovente quella del corrispondente di guerra. Infine è ben noto che presentare le cose, qualsiasi cosa in un articolo o in un libro, utilizzando l’assioma o bianco o nero, alla maniera di un film western, accende l’attenzione del pubblico, laddove invece una presentazione tutta sfumature potrebbe annoiarlo.
La seconda molla è che il trattamento particolare di cui beneficia la professione, ( esistenza di servizi stampa, di corrispondenti nominati, di Hotel prenotati non troppo lontani dal fronte, conferenze stampa ), fa si che i giornalisti, da qualsiasi paese vengano e di qualsiasi sponda siano, vivano assieme e che colui che sbarca senza sapere dove siano i buoni ed i cattivi lo chiederà agli altri e farà presto ad adeguarsi all’opinione comune. Manicheismo e gregarietà sembrano così le due mammelle dell’informazione di guerra.
E se il meccanismo di travestimento dei fatti che abbiamo appena descritto sono a disposizione, l’inchiesta sul territorio è a malapena necessaria. Se si viene a conoscenza che il un tal posto è stato commesso un massacro, non è più necessario di investigare per sapere chi ne è responsabile: Non può essere altro che opera del cattivo. Il corrispondente stampa che si basa su un’ideologia manichea e l’unanimità della sua corporazione, non ha più bisogno di fatti, si può accontentare di quello che Kant chiamava il giudizio sintetico a priori.
Oltre che a deformare la verità, si vede al tempo stesso a che punto una tale attitudine sia potenzialmente criminale. Prendiamo il caso della Siria: Gli opponenti del regime di Assad, che non sono nati ieri e che conoscono a fondo questi meccanismi, hanno tutto l’interesse in questo momento di perpetrare il massimo delle atrocità: poiché queste ultime saranno rimesse senza esame sul conto delle colpe dei loro avversari, ognuna di loro sarà una vittoria psicologica in più.
Sempre dalla parte degli Stati Uniti
Si potrebbe chiudere qui l’analisi ed accontentarsi di mettere in causa gli aspetti sociologici di una professione particolare. Ma sarebbe troppo breve. Perché, e bisogna assolutamente dirlo, questo meccanismo non funziona in qualsivoglia senso: (perché) gioca sempre contro lo Stato, il regime o la fazione opposta agli Stati Uniti, ( a parte forse per ciò che tocca alla Palestina ). L’Arabia Saudita, gli emirati del Golfo sono tutt’altro che degli Stati democratici: delle donne sono lapidate regolarmente, le elezioni non sono truccate semplicemente perché non ce ne sono affatto, i tentativi di rivolta sono soffocati nel sangue. Ma si tratta degli alleati degli Stati Uniti e se per caso dei fatti del genere sono riportati, provocano in toto ben poco scompiglio, passando più che altro come degli incidenti di percorso piuttosto che come l’espressione di regimi criminali.
Questo carattere unilaterale non si riassume dunque in un semplice dato sociologico endogeno all’interno dell’informazione. L’informazione è diventata un’arma di guerra. E come tale, fa appello alle tecniche più sofisticate. Essa si trova nella condizione di essere manipolata da persone che ne possiedono tutte le molle e che giocano senza dubbio come scivolando sul velluto sull’ingenuità de l’idealismo dei giovani giornalisti. Il paradosso è che la più parte di questi corrispondenti stampa sono orientati a sinistra, e cioè che presi uno ad uno, essi sono senza dubbio di fazione opposta alla supremazia americana, critici della finanza internazionale che la sostiene, della prigione di Guantanamo o dell’utilizzo abusivo dei droni ecc.
E il fatto che arrivino ad essere in maniera quasi sistematica i fanti della guerra mediatica condotta dalla grande potenza la dice lunga sulla sofisticazione dei meccanismi all’opera. Con la riserva di uno studio approfondito dell’argomento che non si potra genericamente fare che indietreggiando nel tempo di parecchi anni addietro,e decine d’anni, (concludo che) allorquando qualcuno o qualche regime è presentato al pubblico come il più odioso della terra, si è certi di una sola cosa: e cioè che dispiace alla potenza dominante.
Fonte: Syrie : certitudes et incertitudes de la guerre médiatique de Roland Hureaux
Note sull’autore:
Roland Hureaux :Ex allievo dell’ENA “École nationale d’administration”, saggista francese e sindaco di un comune rurale, Roland Hureaux ha avuto una lunga carriera nella politica e nell’amministrazione pubblica. Presidente e fondatore dell’associazione “Non toccare il mio comune” , è autore di molte opere di analisi politica.