I perni della politica statunitense in Medio Oriente: Qatar, Arabia Saudita e salafismo wahhabita
di Zayd Alisa - 03/08/2013
L’esercito egiziano ha emesso un ultimatum il 1° luglio 2013, apparentemente un duro avvertimento a Mursi, primo presidente democraticamente eletto in Egitto, rappresentante della Fratellanza musulmana (FM), e al movimento Tamarod e al Fronte di salvezza nazionale, una coalizione di partiti laici. Tuttavia, in realtà, era a dir poco una minaccia appena velata a Mursi, sottolineando che, a meno che cedesse una parte significativa dei suoi poteri entro 48 ore, l’esercito l’avrebbe cacciato. Anche se l’esercito ha rovesciato Mursi il 3 luglio, tuttavia la sua spietata repressione, che ha causato la morte di oltre 100 seguaci della fratellanza al 27 luglio, ha rafforzato la FM che ha drammaticamente intensificato le sue proteste sempre più insolenti.
Mentre è incontestabile che il Qatar, guidato dal suo ex-emiro Hamad bin Khalifa al-Thani e dal suo primo ministro e ministro degli Esteri Hamad bin Jassim, è stato in prima linea nel suo inequivocabile sostegno alle rivolte popolari che hanno sferzato la regione, tuttavia la maggior parte del suo sostegno è andato a puntellare la FM. Il regime saudita, al contrario, ha dato il suo sostegno ai regimi tirannici di Tunisia, Egitto, Yemen e Bahrein. Il re saudita ha compiuto sforzi frenetici per impedire la diffusione della rivolta in Arabia Saudita, offrendo miliardi di dollari in aiuti e vietando rigorosamente le proteste, premiando la dirigenza religiosa wahabita salafita e, assai minacciosamente, istruendo l’esercito saudita a invadere e occupare il Bahrain. Ciò che è indiscutibile è il ruolo fondamentale svolto dalla dirigenza religiosa wahabita salafita, radicale e regressiva, nell’offrire legittimità religiosa al regime saudita, che a sua volta fornisce i finanziamenti fondamentali nel diffondere ed esportare la sua violenta ideologia. Secondo l’ideologia wahhabita, è severamente vietato opporsi al sovrano. Così, agli occhi del regime saudita l’esplicito avallo dell’Islam politico della FM, che sottolinea esplicitamente che la legittimità a governare deriva solo dalle elezioni democratiche, è senza dubbio una minaccia esistenziale alla legittimità del potere assoluto del re saudita. Peggiorando le cose ulteriormente, il Qatar ha abbracciato con entusiasmo e persino offerto cittadinanza all’influente e molto controverso leader spirituale della FM, Yusuf al-Qaradawi.
Mentre la protesta in Siria si è sempre più militarizzata, il Qatar ha ampliato il suo pieno sostegno al dominio della FM. Tuttavia, il regime saudita, che ha sempre considerato il regime siriano, dall’epoca di Hafiz al-Assad, padre di Bashar, una grande spina nel suo fianco e un alleato strategico insostituibile del suo principale avversario, l’Iran, si è mosso rapidamente a puntellare gli insorti armati, utilizzando la sua intelligence, il cui ruolo determinante nel creare e finanziare Jabhat al-Nusra (JN) è stato evidenziato in una rassegna d’intelligence on-line, pubblicata a Parigi nel gennaio 2013, influenzando enormemente non solo i leader tribali sunniti nell’Iraq occidentale, ma anche i membri sauditi di al-Qaida in Iraq (AQI), che secondo un rapporto della NBC del giugno 2005, formavano la maggioranza (55%) degli attentatori suicidi e dei combattenti stranieri convenuti in Iraq, e convincendo AQI che il suo principale campo di battaglia doveva essere la Siria e il suo obiettivo finale deporre il regime alawita di Bashar al-Assad, dato che la sua caduta avrebbe spezzato la spina dorsale del governo sciita iracheno e, inevitabilmente, allentato la presa iraniana sull’Iraq. La creazione di un nuovo ramo di al-Qaida in Siria, sotto la nuova etichetta del JN, non ancora designato organizzazione terroristica, è stata non solo un’ancora di salvezza necessaria per l’AQI, che era in ritirata nel 2011, ma ha anche fornito ad Arabia Saudita e Qatar l’opportunità di sostenere AQI e JN con il pretesto perfetto di sostenere la democrazia in Siria, destabilizzando entrambi i Paesi. Così l’AQI s’è affrettata ad inviare Abu Muhammad al-Julani, nel luglio 2011, a formare il JN, mentre, Ayman al-Zawahri, il leader globale di al-Qaida, ha incaricato tutti i suoi combattenti nel febbraio 2012 a convergere in Siria. Il New York Times ha riferito il 14 ottobre 2012, che la maggior parte delle armi spedite da Arabia Saudita e Qatar andava agli estremisti jihadisti in Siria. Così spiegando come il JN sia rapidamente divenuto il miglior gruppo armato in Siria. È stato inoltre riferito, il 29 febbraio 2013, che l’Arabia Saudita ha drammaticamente intensificato il supporto ai ribelli, finanziando l’acquisto di una grande partita di armi dalla Croazia. Tuttavia, il suo articolo del 27 aprile 2013 era, anche se indirettamente, molto più caustico verso l’armamento e i finanziamenti sauditi e qatarioti, affermando minacciosamente che in nessuna zona controllata dai ribelli in Siria ci fosse una forza combattente laica.
The Guardian, nel frattempo, riferiva il 22 giugno 2012 che l’Arabia Saudita era in procinto di pagare gli stipendi ai ribelli siriani. Ma, in una rara ammissione da una fonte ben informata, in un articolo del 13 aprile 2013 di al-Arabia, una fonte del regime saudita confermava l’acquisto e l’invio di armi croate ai ribelli siriani, riconoscendo che la nomina di Bandar bin Sultan, nel luglio 2012, a capo dei servizi segreti fosse un balzo negli sforzi continui dell’Arabia Saudita in Siria. Ancora più rivelatrice, tuttavia, era l’affermazione che Bandar fosse saldamente alla guida, e che così al Qatar deve essere stato detto di restarsene sul sedile posteriore. In sostanza, tali finanziamento, armamento e stipendio dei militanti da parte di Arabia Saudita e Qatar non solo verso il JN, che secondo la dichiarazione di Abu Baqir al-Baghdadi, capo di AQI, nell’aprile 2013, non è che una semplice estensione del gruppo salafita wahhabita AQI, la forza più spietata e potente tra i gruppi dell’opposizione, ma che ha anche notevolmente rinvigorito l’AQI. Senza dubbio, la riconquista della città strategica di Qusayr, nel giugno 2013 da parte dell’esercito siriano sostenuto dai suoi alleati libanesi di Hezbollah, ha segnato il punto di svolta nel conflitto siriano, spingendo Obama alla decisione sorprendente del 13 giugno 2013 di armare i ribelli. A ciò è seguito minacciosamente l’improvviso ritorno del re dell’Arabia Saudita dalle sue vacanze. L’ultima volta tornò per invadere e occupare il Bahrain. Questa volta, è tornato per assumere il suo nuovo ruolo di leader indiscusso del mondo arabo dopo il verdetto degli Stati Uniti: l’Arabia Saudita e non il Qatar deve guidare il mondo arabo. Così, l’emiro del Qatar è stato spinto dagli Stati Uniti ad abdicare il 25 giugno 2013 in favore del figlio Tamim bin Hamad. E in netto contrasto con ciò che molti esperti hanno predetto, la nuova politica estera del Qatar sempre più volge a seguire la linea saudita o a mantenere un basso profilo. Ciò s’è manifestato in primo luogo quando il nuovo emiro del Qatar ha reso esplicitamente chiaro, nel suo primo discorso, che il Qatar avrebbe rispettato tutte le dirigenze politiche e fieramente respinto i settarismi. In secondo luogo, la notevole assenza di qualsiasi accenno alla crisi siriana. In terzo luogo, e di gran lunga più significativo, al posto di Hamad bin Jassim, ex-primo ministro e ministro degli Esteri viene nominato Abdallah bin Nasser bin Khalifa a Premier e ministro degli Interni, riflettendo una svolta politica verso l’interno. In quarto luogo, la nomina di Khalid al-Atiyah, che ha assai meno peso, dato che non è membro della famiglia reale. In quinto luogo, il nuovo emiro si è rapidamente congratulato con il presidente egiziano ad interim Adly Mansur, nominato dall’esercito egiziano. Ciò in netto contrasto con la fatwa emessa il 6 luglio 2013 da al-Qaradawi che invita apertamente il popolo egiziano a sfidare l’esercito e a sostenere Mursi. Anche se in Egitto la FM è stata la prima vittima dell’incontrastata leadership dell’Arabia Saudita sul mondo arabo, comunque subito dopo vi è stata la drammatica assunzione della dirigenza della Coalizione nazionale siriana, dove il Qatar aveva combattuto ferocemente per conservarla, da parte del candidato saudita Ahmad Jarba, il 6 luglio 2013, subito seguita dalle dimissioni del Primo ministro ad interim sostenuto dal Qatar, Gassan Hitto. Poco dopo arrivava la chiusura dell’ufficio politico dei taliban a Doha. E più di recente, proteste sono scoppiate in Tunisia contro il partito al-Nadha, cioè la FM della Tunisia MB, accusato di aver assassinato un importante politico laico.
Le ragioni principali dietro la decisione degli Stati Uniti sono le seguenti: In primo luogo, l’alto grado di confusione tra i suoi alleati in Medio Oriente, che ha dato respiro al regime siriano. In secondo luogo, l’arroganza e la sregolatezza della leadership del Qatar. In terzo luogo, la speranza che i sauditi imparassero dalla lezione data al Qatar. In quarto luogo, avendo posto il Qatar nel sedile posteriore, gli Stati Uniti avrebbero avuto una leva sui sauditi. Quinto, spingendo l’emiro del Qatar ad abdicare inviano un messaggio inequivocabile al re saudita. In sesto luogo, la crescente preoccupazione degli Stati Uniti per l’indebolimento del fronte interno dell’Arabia Saudita, in particolare dopo che il suo mito palesemente ingannevole di essere il custode dell’Islam sunnita è decaduto, in gran parte grazie al conclamato sostegno del regime saudita a regimi tirannici contrari ai sunniti in questi Paesi. Settimo, dando agli Stati Uniti l’occasione d’oro di accusare la precedente dirigenza del Qatar se un nuovo 11/9, come l’attacco terroristico al consolato statunitense a Bengasi, ha avuto luogo, senza biasimare l’Arabia Saudita o addirittura se stessi per aver permesso ai sauditi di inviare missili antiaerei ai ribelli siriani.
Nell’ambito degli strenui tentativi del regime saudita di evitare una rivolta interna, ha inesorabilmente cercato di innescare una guerra settaria regionale per dimostrare al proprio popolo, sempre più privo di diritti, di essere fortemente impegnato nella lotta contro la minaccia esistenziale sciita, cioè l’Iran. Ma, con i sauditi leader del mondo arabo, il rischio di una guerra del genere non è mai stato così alto. In effetti, se scoppia una guerra del genere, entrambi i lati della divisione settaria certamente ne incolperebbero gli Stati Uniti. E’ quindi giunto il momento per gli Stati Uniti di riconoscere prontamente che il loro sostegno incrollabile all’Arabia Saudita, da dove proveniva la stragrande maggioranza (15 su 19) degli attentatori suicidi dell’11 settembre, a dispetto del capo Usama bin Ladin, ha svolto un ruolo importante nel trasformare la guerra al terrorismo nell’impresa inconfutabilmente di maggior successo di promuovere e supervalutare al-Qaida in numerosi altri Paesi. Quindi è imperativo per gli Stati Uniti, se si sforzano realmente di fermare la minacciosa valanga della rapida diffusione dell’ideologia estremista wahabita salafita e di evitare il confronto con un mondo islamico sempre più radicalizzato, impedire l’esportazione implacabile dall’Arabia Saudita della sua ideologia estremista salafita wahhabita e dei suoi combattenti estremisti jihadisti, facendo enorme pressione sui sauditi, per spingerli a passare dalla protezione del petrolio a una riforma politica concreta e a un cambiamento democratico.
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Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora