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L’indulto “prioritario”? Un insulto ai cittadini (Massimo Fini)

di carlo passera - 27/07/2006


Massimo Fini, tira un’aria davvero strana. A leggere le cronache parlamentari di questi giorni, pare che l’assoluta priorità del Paese sia quella di rimettere in libertà un congruo numero di criminali. Se qualcuno protesta, passa per giustizialista... A cosa è dovuto tutto questo?
«Alla convergenza di tre elementi. Primo: il “perdonismo storico” della sinistra nei confronti dei delinquenti di piccolo cabotaggio, considerati alla stregua di “vittime della società”. Secondo, un fatto inaudito: in Italia la destra è contro la magistratura, invece di difendere la legge e l’ordine, come fa in tutto il mondo. Terzo, a completare il quadro, c’è il buonismo cattolico. Esito: un sistema totalmente farraginoso, che raramente riesce ad arrivare alla condanna e che cancella qualsiasi certezza della pena. Se ci fosse, quest’ultima varrebbe non solo per chi ha commesso un reato, ma funzionerebbe anche da deterrente, come spiegava uno dei padri del nostro diritto, Francesco Antolisei: “È una contro-spinta alla spinta criminosa”. È chiaro che, eliminandola, i reati aumentino in modo considerevole».
Cosa pensi in particolare delle attuali polemiche sull’indulto?
«Una parte della destra mira a rendere ancora più comica la sentenza nei confronti di Cesare Previti, sotto il chiaro imput berlusconiano...
...e la sinistra, da parte sua, vuole invece perdonare i delinquenti “minori” - scippatori, ladri e compagnia bella - che pure creano un enorme allarme sociale.
«Attenzione, non è vero che i reati da strada siano quelli che determinano il maggiore allarme sociale. Se io scippo una vecchietta, faccio una bruttissima cosa, ma... “circostanziata”. Se invece sono responsabile di una bancarotta fraudolenta, metto sul lastrico un migliaio di vecchiette! Provocano allarme sociale entrambi i comportamenti: solo che quelli di sangue o di violenza fisica sono più evidenti a tutti, gli altri meno, perché è facile occultare la loro pericolosità. Pensiamo ai reati contro lo Stato o la pubblica amministrazione. Uno dice: “Ma chi è lo Stato? Chi se ne frega”. Il fatto è che lo Stato siamo noi cittadini, la collettività, le persone che hanno rispettato le leggi!».
Diciamo così: è la percezione del reato a essere diversa, lo scippo o il furto in villa colpiscono di più l’immaginario.
«La percezione è diversa anche perché nessuno ci spiega di quali tipi di reati si macchino i “colletti bianchi”».
Fa comodo sottacere certe situazioni...
«Proprio così. E, se posso dirlo, a me fanno anche più schifo. Colui che commette un reato di sangue perlomeno si mette in gioco in qualche modo, mentre chi delinque con l’intermediazione del denaro - penso ai reati finanziari - si comporta da vigliacco».
La motivazione addotta per giustificare l’indulto è: le carceri sono troppo piene e i detenuti vi vivono i condizioni precarie. Verrebbe da rispondere: costruite più carceri.
«La tesi dei promotori dell’indulto è l’assurdo degli assurdi, per molti motivi. Primo: le carceri sono piene, ma per la metà a riempirle sono persone in attesa di giudizio, che non potranno così godere dell’indulto, con la paradossale conseguenza che potranno uscire i delinquenti accertati e non chi è ancora un presunto innocente a causa dell’abnorme lunghezza del processo penale italiano. Ma è proprio questo il punto centrale di tutta la faccenda: se le nostre procedure fossero rapide, molte persone potrebbero lasciare il carcere, perché non più detenute in attesa di giudizio. Inoltre, ed è la seconda assurdità, l’indulto o l’amnistia “per svuotare le carceri” non servono proprio a niente, le statistiche dimostrano come oltre sette delinquenti scarcerati su dieci tornano alle loro vecchie abitudini, così che nel giro di due anni le celle sono di nuovo piene. In ultima istanza c’è anche quanto hai detto tu: se le strutture carcerarie sono insufficienti, creiamone di nuove, invece di pensare a folli ponti di Messina. Servono prigioni moderne, umane, con spazi di libertà, come succede negli altri Paesi occidentali. Basterebbe copiare: il Guardasigilli dovrebbe andare in Inghilterra per capire come mai là, se c’è un detenuto in attesa di giudizio, le istruttorie durano mediamente un mese e mezzo; poi in Scandinavia, per vedere come sono organizzate le carceri».
Dire - come molti fanno in questi giorni - che “le carceri sono piene” è un’ammissione di sconfitta da parte dell’amministrazione pubblica, la quale avrebbe dovuto provvedere a risolvere il problema.
«Se il problema è la struttura, si interviene sulla struttura, non si elimina la pena. Ma, ripeto, la questione di fondo è un’altra. Pur in maniera mascherata, facendo finta di voler perseguire un interesse generale, si vogliono in realtà salvare determinati individui; in Italia ci sono cittadini di serie A e di serie B, e questo è il vulnus più pericoloso per una liberaldemocrazia, che rinuncia ai principi di uguaglianza sociale, ma dovrebbe invece tutelare l’uguaglianza formale di fronte alla legge. Quando questo non accade, allora siamo di fronte a una vera e propria truffa e non so per quanto tempo la gente continuerà a sopportarla. Appena uno di noi “normali” viene colto nella minima infrazione, viene stritolato; invece ci sono individui che fanno parte di un altro campionato, per i quali vige una sostanziale impunità».
L’accenno al campionato è quanto mai appropriato, svilupperemo tra poco questo tema. Ma proseguiamo sull’indulto, magari andando ad analizzare le posizioni politiche in campo. Dicevi che la nostra destra ha un atteggiamento opposto rispetto a quello che la caratterizza in tutto il resto del mondo...
«Basta declinare il concetto di destra nei continenti e ne trovi di tipi diversi, ma su una cosa concordi: la difesa della legge».
Il centrodestra sull’indulto non è però compatto: Forza Italia e Udc sono a favore, mentre Lega Nord e Alleanza nazionale dichiaratamente contro.
«Credo che quella di Lega e An non sia affatto una scelta strumentale. Esiste un reale disagio profondo in chi si riconosce nei partiti di Gianfranco Fini e Umberto Bossi. Una delle ragioni (non l’unica) della grande avanzata del Carroccio negli anni Novanta fu il fatto che per la prima volta in Italia, in modo sistematico e non totalmente episodico, anche la classe dirigente veniva chiamata a quel rispetto delle leggi che noi tutti siamo tenuti a osservare. Quanto ad An, è un partito che viene da una cultura profondamente radicata a destra, l’indulto le risulta del tutto contro natura. Ho assistito a un dibattito che vedeva come ospite, tra gli altri, anche Giovanni Alemanno, e questi sulla questione dell’indulto ha espresso posizioni più o meno simili a quelle di Antonio Di Pietro».
Alemanno ha infatti esplicitato una sua netta contrarietà al provvedimento.
«Devo dire di aver conosciuto tutta la generazione della cosiddetta nuova destra (Alemanno, Gasparri & C.) e mi pare che l’ex ministro delle Politiche Agricole sia l’unico a conservare un po’ degli ideali di quella stagione».
Veniamo ad analizzare le posizioni della sinistra. Se dovessimo chiedere a cento cittadini cosa ne pensano dell’indulto, probabilmente novantacinque si schiererebbero contro, tra i quali anche quelli di sinistra. Eppure per il governo questo provvedimento è addirittura una priorità, come ha ricordato anche il presidente della Camera, Fausto Bertinotti.
«È un riflesso culturale condizionato, probabilmente ci sono anche scambi di favori sotterranei che non siamo in grado di comprendere (o alcuni li comprendiamo, penso al caso di Adriano Sofri). Ma il tutto denuncia un aspetto ancora più grave: dichiarare questo provvedimento di grande urgenza, prioritario, e arrivarci con un accordo stipulato con parte dell’opposizione, esplicita in modo chiarissimo quanto io sostengo nel mio libro Sudditi: che queste oligarchie fanno i propri interessi, totalmente disinteressate alla reale volontà del Paese. Ora adottano un provvedimento al quale, per ovvi motivi, il 95 per cento della cittadinanza - e dei singoli elettorati - è nettamente contraria».
O perlomeno non ne sente l’urgenza.
«Esatto. Vi sono ben altre cose importanti, c’è gente che aspetta da anni pensioni alle quali ha diritto, ma queste si sono arenate per incagli burocratici o legislativi... Dichiarare urgente l’indulto rivela la chiara divisione tra politica e cittadinanza, il distacco tra i due mondi, il disprezzo della volontà popolare. Con un ulteriore situazione quanto mai sgradevole».
Quale?
«Ora approveranno l’indulto. Ma alla prima occasione, non appena l’Alessi di turno ucciderà qualche innocente, di sicuro si leverà qualcuno a criticare un magistrato, reo di aver applicato le leggi che è lo stesso Parlamento ad aver voluto. Disgustoso».
La questione indulto, tanto per cambiare, ha portato in primo piano anche le solite divisioni nella maggioranza, con un Antonio Di Pietro che si è mostrato fermamente contrario, forse anche per ragioni di convenienza: il suo movimento infatti si fonda sulla tutela della legalità...
«Neanche in questo caso credo vi sia strumentalità, tale divisione della maggioranza - come tutte le altre - dipende da quel sistema infame che si chiama bipolarismo e costringe posizioni del tutto diverse a mettersi insieme, sia a destra che a sinistra. Italia dei Valori, il movimento di Di Pietro, non ha nulla a che vedere col radicalismo di gran parte della sinistra. Allo stesso modo, la Lega Nord è un corpo largamente estraneo alla coalizione di centrodestra. Ci si deve mettere insieme per vincere le elezioni, ma poi i nodi vengono al pettine. Con un sano proporzionale avremmo un governo molto diverso e assai più ragionevole».
Parlavi prima di disgusto. È quello provato da molti alla conclusione (parziale) dei processi di Calciopoli. Alcuni hanno letto la sentenza della Corte d’appello come una sorta di compromesso, che salva qualcuno, grazia quasi del tutto il Milan, punisce solo la Juventus, ma un po’ meno.
«La sentenza di primo grado era adatta al tipo di situazione che era emersa. Quella di secondo grado non dico che abbia voluto esplicitamente cancellare tutto, di certo si avvicina il più possibile - date le condizioni oggettive - al “tarallucci e vino”. Altre squadre, con responsabilità minori, in passato avevano dovuto accettare pene ben più pesanti».
Diciamo che si è voluto individuare un capro espiatorio - colpevole, ma non unico colpevole - in Luciano Moggi e nella sua Juventus?
«Esatto, loro erano certamente colpevoli, così li si è colpiti salvando invece tutto il resto, anche perché entravano in gioco interessi economici clamorosi, penso al fatto di disputare o meno la Coppa dei Campioni (Coppa dei Campioni, perbacco! Non Champions League!). Insomma, si è voluto tenere conto di quei fattori che hanno trasformato il calcio da grande e bellissima festa nazionalpopolare, che sarebbe piaciuta a una Lega Nord d’antan, a quella cosa di oggi, che ha ben poco senso».
Molte critiche sono state rivolte alla quasi-assoluzione del Milan. La sua ammissione alla Champions League (o Coppa dei Campioni) è una splendida notizia per le casse della società rossonera.
«Alcuni parlamentari della maggioranza ancor prima della sentenza avevano paventato che i giudici sportivi si facessero intimidire da Silvio Berlusconi. La sentenza permetterà al Milan di interessarsi solo parzialmente del campionato, per mirare all’obiettivo europeo».
È una buona notizia per Massimo Moratti.
«Che avrà anche tutti i difetti che voi interisti gli attribuite, ma perlomeno è una persona pulita e non mi sembra poco. Invece qui si preferisce vincere rubando, o violentando col denaro, come è accaduto per il Milan, che ha rovinato tutto il movimento perché gli altri si sono dovuti adeguare alle sue spese folli e i prezzi sono saliti alle stelle. Devo aggiungere che tutta la storia dell’Inter è “onesta”, fatta di presidenti che magari avranno dato poche soddisfazioni ai loro tifosi, ma che erano persone perbene. Penso a Ivanoe Fraizzoli, poi a Ernesto Pellegrini...».
Pellegrini qualche guaio con la giustizia per la verità l’ha avuto, in seguito.
«Io però mi ricordo di averlo incontrato, era l’inizio dell’epoca berlusconiana, e gli dissi: non so nemmeno di cosa lei si occupi professionalmente. Poi ebbi modo di scoprire che aveva una società di ristorazione. Diciamo così: erano persone alla vecchia maniera, che non strumentalizzavano la squadra dei quali erano proprietari (e il calcio in generale) per i loro interessi aziendali o politici. Mi pare un buon punto di partenza».
La sentenza Sandulli è stata una sconfitta anche per il procuratore Francesco Saverio Borrelli. Il suo ex “alter ego” Gerardo D’Ambrosio ha commentato l’accaduto, in un’intervista al Corriere della Sera, sottolineando come in Italia ogni grande scandalo produca all’inizio una forte indignazione popolare (forse impropria per un popolo, come quello italiano, poco avvezzo alla “tensione morale”), e la promessa da parte della politica di fare piazza pulita. Poi però si fanno sentire i molti interessi coinvolti e finisce tutto in una bolla di sapone.
«Non è questione di insensibilità popolare, è un problema strutturale. Se si ruba una gallina si finisce in galera, se invece ci si appropria di molti miliardi, si coinvolgono tanti interessi e quindi alla fine ci si salva. La morale è: bisogna essere dei delinquenti in grande stile. Ovviamente parlo per paradosso».
D’Ambrosio dice: “È l’illegalità diffusa che abbiamo nelle vene”.
«Non è vero. Ho vissuto nell’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta, dove l’onestà era un valore per tutti. C’era opportunismo, ma la disonestà in questa misura no; è un portato del mondo attuale, delle società complesse, dove i comportamenti non sono verificabili e dunque non conviene più essere persone perbene. Nietzsche ci spiega che la morale ha a che fare con l’utilità, crea codici per impedire alle comunità di sfasciarsi. Nelle piccole società non si violano le regole anche perché si è controllabili e dunque, nel caso di violazione, facilmente scoperti e subito espulsi. Nella società globalizzata nulla è più verificabile, nessuno di noi sa con chi ha a che fare, chi sia la persona che si ha davanti: dunque non conviene più essere onesti, esserlo o meno è solo una scelta individuale».
Un altro sconfitto è Guido Rossi, il commissario Federcalcio. Ora dovrà riscrivere le regole del pallone nostrano. Come dovrà farlo?
«Ma le leggi per punire gli illeciti ci sono già, basta applicarle».
Si parla però dell’intera architettura del campionato: quante squadre in serie A, come dividere i diritti televisivi...
«È ovvio che i diritti devono essere spartiti con maggiore equilibrio, per garantire meno disparità tra le forze in campo. Serve la contrattazione collettiva, proprio per salvare questo sport, che era bello perché l’ultima in classifica poteva battere la prima. Attenzione, perché se non si opera in questo senso, il gioco finisce».