Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / La potenza del nemico

La potenza del nemico

di Marino Badiale - 03/02/2015

Fonte: il-main-stream


Proseguo le riflessioni di qualche tempo fa. Lo spunto questa volta è la lettera di un lettore riportata in un post di Goofynomics. Il lettore riporta una discussione con una ragazza che lavora in un bar:


“scherzava sul fatto che se le dovesse prendere l'influenza non potrebbe mettersi in malattia visto la carenza di personale. Carenza dovuta, a suo dire, alla mancanza di voglia e serietà delle persone che non vogliono fare quegli orari. 'Ste ragazze lavorano 8-10 ore al giorno per 6 giorni a settimana. Il turno la mattina inizia alle 5. La sera finisce alle 22-23. Quando faccio notare che forse 800 euro al mese (perché questo è il loro stipendio!) non sono adeguati al carico di lavoro che viene svolto, la barista ha aggredito me, me!, dicendo che se lei può fare questi orari con questi soldi, allora non vede perché gli altri se ne debbano lamentare. Sono semplicemente svogliati.”


Mi ha colpito questo passo perché a me è successa una cosa simile, e in questi giorni stavo giusto pensando di scriverci un post. Ero seduto nell'autobus e dietro di me due signore discutevano del loro lavoro. Non ho capito quale fosse, ma sembrava avesse a che fare con l'assistenza sanitaria, non so se in una struttura pubblica o privata. Comunque, una delle due si lamentava del fatto che alcuni colleghi (o colleghe) abusavano della mutua per malattia, e concludeva con questa asserzione di valore generale “se uno ha l'influenza non ha il diritto di stare a casa”. Concedeva, bontà sua, che in caso di malattie più gravi il diritto a stare a casa poteva essere mantenuto. Questo dialogo mi lasciò abbastanza sbalordito. Posso capire che, non rendendosi esattamente di cosa succede, e dato il bombardamento mediatico cui si è sottoposti, molta gente si rassegni alla perdita dei diritti,
alla erosione dei redditi, al generale abbassamento delle condizioni di vita. Ma che tutto questo venga rivendicato come qualcosa di giusto, che si affermi con fierezza e convinzione “non voglio avere diritti!”, questo lo trovo abbastanza sorprendente. Gli oppressi hanno sempre dovuto accettare una situazione di oppressione, e ci sono sempre stati solerti ideologi che hanno inculcato loro opportune elaborazioni intellettuali giustificative dell'esistente. Ma penso sia piuttosto raro che gli oppressi approvino un inasprimento dell'oppressione stessa, che si convincano che è giusto perdere alcuni dei pochi diritti di cui potevano fruire.  Almeno, non mi vengono in mente esempi. Oggi invece succede proprio questo. Certo, due indizi non fanno una prova, e ci sarebbe bisogno di approfondite ricerche empiriche per sapere se e quanto questi due esempi rispecchino il comune sentire. Ma il fatto che sei o sette anni della più grave crisi economica del dopoguerra, con il suo seguito di disoccupazione, impoverimento e disperazione, non abbiano ancora portato al coagularsi di una seria forza di opposizione politica, sembra indicare che le difficoltà ideologiche da superare sono assai serie. La cosa più inquietante è la considerazione che, se lo stato d'animo esemplificato dai due casi riportati fosse davvero quello comune, allora la crisi economica non porterebbe in nessun modo ad una sollevazione antisistemica. Se davvero la maggioranza dei cittadini condivide le opinioni nelle quali siamo incappati io e il lettore di Bagnai, il peggioramento economico, individuale e collettivo, si tradurrà in violenza reciproca, non certo in solidarietà di classe o di gruppo. Ci sbraneremo gli uni con gli altri, mentre i Caini che ci governano continueranno a rilasciare interviste.