Meglio da soli che globalizzati
di Diego Fusaro - Tommy Cappellini - 03/03/2015
Fonte: Il corriere del Ticino
Fusaro, perché recuperare questo testo poco conosciuto di un filosofo già difficile e problematico di suo?
«Vero, Fichte ha un’aura diabolica ed è tra gli autori rimossi dal canone occidentale. Dal punto di vista teoretico, è spesso presentato come astruso e poco comprensibile, per via della sua Dottrina della scienza, di fatto complessa. Dal punto di vista politico, poi, apriti cielo. A differenza di Marx, cui vengono imputati i gulag, e di Nietzsche, cui viene imputato Auschwitz, a Fichte mettono in carico tutte due le cose. Nello specifico, con Lo Stato commerciale chiuso si insinua che abbia precorso l’economia stalinista, coi Discorsi alla nazione tedesca il nazismo tout court. Non è così».
Niente di più falso?
«Niente di più falso».
Spieghiamo allora l’espressione «anarchia del commercio».
«Questa di Fichte è una definizione perfetta e precisissima per cogliere ciò che chiamiamo globalizzazione, deregulation, laissez-faire, “togliamo lacci e lacciuoli” e altri desiderata di sapore evangelico lanciati da chi vuole produrre uno spazio commerciale in cui a condurre i giochi è unicamente il momento economico autonomizzatosi. Uno spazio deterritorializzato e svuotato da ogni radicamento comunitario e culturale, con i cittadini come meri atomi di scambio e consumo, senza patrimonio simbolico e senza tradizione, plasmati dalle reificanti prestazioni del do ut des mercatistico».
Tradotto, addio Heimat?
«La tendenza è dappertutto. L’anarchia del commercio cerca di destrutturare ogni potere, ogni comunità, ogni nazione, in modo che possa imporsi la disorganizzazione organizzata del capitale senza controllo. Davanti a tutto questo, Fichte è per un concetto non-liberale di libertà e contesta la visione di chi vuole uno Stato che faccia solo il pigro guardiano notturno, di modo venga rispettata l’unica libertà che oggi si è imposta senza resistenze: la libertà di mandarsi in rovina a vicenda, come dice Fichte».
Che dal canto suo cosa propone?
«Per dirla con Hegel, uno Stato etico che garantisca diritti sociali inalienabili e che metta la comunità prima dell’individuo isolato che si arricchisce a scapito degli altri in nome del sacro dogma della competitività».
Storicamente, umanamente, una via poco praticabile. Da dove iniziamo?
«Dalle basi. Fichte articolò il progetto – che sottopose ai politici dell’epoca – in tre momenti: lo Stato come deve essere, cioè quello che garantisce ai cittadini valori fondamentali; lo Stato com’è, vale a dire, oggi, lo Stato che tutela solo le transazioni economiche tra individui, e poco anche queste; e il terzo momento, il tentativo di coniugare l’essere con il dover essere».
E qui arriviamo allo «Stato commerciale chiuso». Idea che si potrebbe rilanciare, per vedere che effetto fa.
«Con la premessa che sul piano globalizzato del commercio mondiale la politica è quasi neutralizzata. Fichte, comunque, propone di ricostruire, attraverso puntuali strategie che ripercorro nel mio saggio, piccole unità politiche che siano autarchiche. Ogni Stato ha in sostanza ciò che basta per garantire una vita adeguata; il resto, per esempio bere tè cinese in Germania, consiste in bisogni indotti. Radicale, lo so. L’idea di Fichte è garantire, tramite lo Stato, il primato della politica sull’economia: la globalizzazione è esattamente il trionfo di un’economia spoliticizzata in cui a decidere sono i cosiddetti mercati».
Ogni critica radicale è di un ottimismo folgorante, diceva quel tale.
«E porta alla luce dinamiche fastidiose ma vere. Manca poco che vivremo in un mondo in cui merci e capitali si muoveranno liberamente, ma le persone no. Alla faccia di Schengen. Accade quando l’unico valore condiviso è il fiscal compact. Aggiungo una cosa sull’immigrazione: una sciocchezza prendersela coi migranti. Non sono che il prodotto del finanzcapitalismo. Il nemico è altrove».
A Bruxelles, per caso?
«Intanto bisogna constatare che l’Europa è distrutta sul piano geopolitico. Torniamo a Fichte: nei Tratti fondamentali dell’epoca presente, successivo allo Stato commerciale chiuso, scriveva che l’Europa nasce come unità nella pluralità, quest’ultima tenuta insieme dalla fede cristiana. Oggi si è all’interno di un’unità senza pluralità. Quella dell’Handelsanarchie. Non c’è negoziazione del diritto alla differenza, ma imposizione di un unico ordine economico a Paesi che hanno realtà differenti».
Con l’euro come grimaldello?
«L’euro non è una moneta: è un metodo di governo neoliberale. È stato usato per un’annessione brutale di Paesi come Italia o Spagna, simile a quella accaduta tra Germania ovest e est nel 1989. Inutili girarci intorno: bisogna tornare a mettere i valori dello spirito prima di quelli economici; rifare un’Europa che non sia alfiere di nessuna special mission, come gli Stati Uniti, ma che sia una confederazione di Stati democratici fratelli. In altre parole, andare con Fichte oltre Fichte».