Economia, più che "fiducia" un atto di fede. E di speranza (o disperazione?)
di Valerio Lo Monaco - 03/03/2015
Fonte: Valerio Lo Monaco
Cresce la fiducia e anche l’occupazione. Almeno così, a megafoni unificati, arriva il messaggio mediatico negli ultimi giorni. Non solo, secondo diversi titoli di quotidiani e televisioni, l’Italia è uscita ufficialmente dalla recessione.
I dati parlano chiaro. Almeno quelli comunicati. Sui metodi di raccolta e sulla loro interpretazione invece vige la più assoluta nebbia, almeno per quanto attiene la consapevolezza del cittadino medio che a tali organi di informazione si abbevera quotidianamente.
Ora, per onestà professionale, dal punto di vista tecnico i miglioramenti ci sono. Con un rotondo, si fa per dire, più 0,1% di Pil il nostro Paese ha effettivamente fatto registrare il segno positivo dopo anni di segno negativo, pur essendo, al momento, ai livelli registrsti nel 2000. Solo che mentre in quest’ultimo caso si parla immediatamente di crescita, per tutti i trimestri precedenti ci sono volute numerose e successive rilevazioni prima di poter sentire pronunciare la parola proibita, ovvero recessione, assieme all’altra, cioè deflazione.
In quanto alla disoccupazione la cosa ha persino del grottesco: il miglioramento registrato a gennaio (circa 130 mila posti di lavoro in più, e bisognerebbe vedere che tipo di posti) che si unisce però al dato peggiore dal 1977 (per il 2014) attesta unicamente la voragine che si è aperta negli ultimi anni, l’estensione enorme di un fenomeno che ha piagato il nostro Paese e che, per il settore giovanile, non è peraltro ancora in controtendenza (valore registrato del 42.7% e oltre il 50% al sud. E si tratta, ribadiamo, della disoccupazione ufficiale). Quanti posti di lavoro ancora mancano, quanti anni, per tornare almeno ai livelli degli anni settanta?
Tornando alla vita reale, non a quella virtuale dei numeri, ciò che conta per capire lo stato dell’arte della crisi strutturale nella quale siamo immersi va però cercato altrove. E come è sempre utile fare, cercando di incrociare e interpretare alcuni segnali differenti in grado, se considerati simultaneamente, di offrire un quadro un po’ più chiaro del mero susseguirsi dei numeri.
Sopra a ogni cosa vale la pena, provando ad anticipare almeno un po’ il futuro, rammentare che tra qualche settimana si potranno se non altro iniziare a vedere i primi risultati del Quantitative Easing promesso e promosso dalla Banca Centrale Europea. A sentire diversi interlocutori, in merito, tra la popolazione le cose appaiono non essere tanto chiare. La maggior parte dell’opinione pubblica sembra immaginare che questi “soldi e pioggia” e l’”immissione di moneta in circolazione” - almeno così viene veicolata l’operazione - venga condotta con una sorta di paracadutaggio dal cielo di sacchetti di denaro, così, un po’ qui e un po là per concedere qualche spicciolo di spesa in più a ognuno di noi. Le cose stanno ovviamente in modo molto differente, poiché gli effetti più immediati, o almeno che si sperano tali, di questa operazione, dovrebbero, e la forma verbale è più dubitativa che altro, arrivare attraverso gli istituti di credito, ben pronti, almeno secondo Draghi, a una maggiore propensione verso la concessione di mutui e prestiti a privati e imprese. Il che, sempre molto teoricamente, dovrebbe consentire la ripresa del mercato immobiliare e dei consumi, oltre agli investimenti delle imprese, al fine di rilanciare l’economia.
Tutto dipende dunque da due variabili: la reale volontà degli istituti di credito a concedere questo denaro e dunque ad aumentare le proprie esposizioni già molto in sofferenza, e la reale volontà di cittadini e imprese di lanciarsi in nuove operazioni a debito. Che di questo si tratta: mutui, prestiti o investimenti, se si deve passare per le Banche (e per gli interessi che queste applicheranno) ci dovrà essere dall’altra parte l’ennesima e costante volontà di contrarre dei debiti. Da ripagare.
Lo schema dell’operazione è esattamente quello che nel nostro sistema ha portato al collasso attuale: fare acquisti e investimenti senza avere il denaro per farli e dunque incatenandosi allo strozzino di turno.
Resta da vedere se i cittadini ci cascheranno ancora. E resta da vedere se ci cascheranno talmente tanto da accettare le imposizioni capestro che le Banche tenteranno di applicare per queste molto eventuali erogazioni. Della serie: mutui con firme primarie, secondarie, e terziarie, cioè dei contraenti e dei loro genitori, con relative ipoteche multiple sull’abitazione da acquistare e su quelle già pagate con i sacrifici dalle generazioni precedenti. In altre parole, lo diciamo chiaramente: è un ulteriore attacco alle “ricchezze” già acquisite e pagate. Ergo, non caschiamoci.
Così come resta da capire la volontà da parte delle imprese di investire, magari su macchinari per realizzare merce fisica e in Europa per giunta, in un momento in cui un qualsiasi amministratore di industria sa benissimo che si tratterebbe di una operazione folle (con ricadute peraltro sulle ipoteche che anche in tal caso le Banche gli chiederebbero di accettare).
Sull’efficacia del Quantitative Easing europeo, insomma, come si sarà capito, abbiamo ragionevoli dubbi.
Argomento correlato è andare a vedere quanto e come un meccanismo del genere sia stato efficace dove è stato applicato in precedenza, e cioè negli Stati Uniti. Ora, lì la situazione, più che migliorata, si è quanto meno attestata, nel senso che un pizzico di “ripresa”, e dobbiamo sforzarci di chiamarla così, almeno nei dati (attenzione: nei dati) c’è stata. Naturalmente si tace sulle modalità attraverso le quali vi si è arrivati, come ad esempio i mini-jobs dei quali anche da noi, con il caso tedesco, si inizia a livello di media di massa a sapere qualcosa (ottima la trasmissione di Presa Diretta di Iacona domenica scorsa). Hartz 4, la mega riforma del lavoro tedesca alla quale tutti si richiamano in Europa e anche in Italia, si sta iniziando a mostrare per quella che è, ovvero una soluzione di schiavismo salariato senza alcuna tutela per il lavoratore (senza sanità, senza pensioni) e con stipendi da fame. Tutti occupati, per carità, ma con stipendi da 400 euro al mese. Il che non impedisce però di continuare a inneggiare ai tedeschi. La si capirà meglio, questa riforma, considerando quanto sta facendo - indisturbato - il governo Renzi dalle nostre parti, ma insomma anche iniziando a guardare di là, sebbene in ritardo (qui ne parlammo anni addietro) chi ha almeno ancora un po’ di lucidità potrà capire facilmente il quadro. E fare personalmente delle previsioni anche per quello che riguarda il nostro Paese.
Tornando agli Usa, la musica non cambia. Dati leggermente migliorati, su occupazione e consumi, ma storia del fiscal cliff e del debito pubblico totalmente fuori controllo presto rimossa. Colpevolmente. Gli statunitensi parlano di uscita dalla recessione sorvolando sulle modalità della stessa, ovvero un debito che continua a salire mostruosamente e la mega bolla dei tassi facili e del denaro stampato della Fed.
Per arrivare infatti a Greenspan (ex Presidente della Fed), che a proposito di nuova bolla la dice - abbastanza - chiara: altro che crisi passata, è stata tenuta solo congelata, ma non appena i tassi aumenteranno (e non appena verrà ridotto sul serio il Quantitative Easing da quelle parti) l’esplosione sarà più grande di prima. E se lo dice lui, riguardo gli Stati Uniti, dovrebbe essere facile immaginare cosa accadrà da noi dal momento che iniziamo a intraprendere la medesima strada con solo qualche anno di ritardo.
Nel frattempo, e torniamo a casa nostra, al di là degli annunci ridicoli, ai quali pare pur che molti italiani continuano a credere, visto l’appoggio che continuano a dare al Presidente del Consiglio, la situazione reale, e sottolineiamo reale, è abbastanza facile da comprendere. Anche senza guardare dentro le proprie tasche personali.
Le tasse sugli immobili sono più che raddoppiate così come le tasse locali. I famosi 80 euro di Renzi non hanno spostato di un millimetro la situazione. La Cisl (addirittura la Cisl!) si appresta a proporre una legge per mettere in atto una vera e propria patrimoniale per chi ha proprietà superiori a 500 mila euro (cioè una classica famiglia italiana che abbia lavorato decenni per comperarsi un appartamento) in modo da rastrellare denaro non più solo ai veri e propri poveri, dalla cui spremitura ormai non può venire fuori più quasi nulla, ma dai cittadini in una situazione leggermente migliore, cioè la (ex) classe media proprietaria di una casa e poco più. Sorge un dubbio: applicheranno la tassa anche a chi è proprietario di un immobile che però deve ancora finire di pagare con 20 anni di mutuo avanti a sé oppure no? In ogni caso, in tema di patrimoniale, i veri “grandi patrimoni” non saranno neanche minimamente sfiorati.
E sopra ogni altra cosa, in modo che il quadro almeno per il medio termine sia ancora un po’ più chiaro, sono pronte dietro l’angolo due cosucce da nulla. La prima: completa riscrittura delle norme del catasto (ovvero ulteriore tassa sugli immobili). La seconda: l’applicazione, in automatico, delle norme di salvaguardia (accise e Iva). Queste entreranno in vigore senza neanche un passaggio parlamentare (ammesso, e non concesso, che potrebbe servire a qualcosa) se non si raggiungeranno alcuni obiettivi di bilancio. Il “se” è tutto un programma. Già, cresciamo di uno 0,1%, almeno così dicono i dati. Basterà a evitare aumento di accise e Iva oppure è più probabile che ognuno di noi, tra un po’, sarà depredato ancora, e ancora, e ancora?
Ma che problema c’è, avete visto come titolano i giornali e le televisioni? Allegri, la fiducia è cresciuta.
Valerio Lo Monaco