È passato almeno un mese da quando con un metodo quanto meno discutibile è stato eletto l’ex esponente della sinistra DC Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica italiana. Ma se il buongiorno si vede dal mattino ci viene da dire che “si stava meglio quando si stava peggio”. Il nostro presidente è risultato non pervenuto in questo mese, eppure gli episodi politici controversi anche a livello costituzionale non sono mancati.
A partire dal suo discorso di insediamento si è cominciato a capire quale sarà l’andazzo durante il suo settennato. Nonostante tanta bella retorica sulla crisi, sulla situazione sociale e sull’unità nazionale nel segno della costituzione, è palese che abbiamo a che fare con una figura politica, che senza fare facile esercizio di demagogia, ci viene da dire che è ben lontana dalla realtà in cui è costretta a vivere la popolazione.
Mattarella, con uno spessore politico senz’altro diverso dal suo predecessore Napolitano, sta provando a dare continuità a quell’impostazione data dal due volte Presidente durante il suo novennato. Ottenere quelle riforme costituzionali, che di pari passo con la legge elettorale consentiranno di esprimere un premier certo nelle future tornate elettorali; e continuare sul solco intrapreso a partire dal 2011, con quelle idee economiche del liberalismo di centro care alla Germania del cdu/csu, che impone quel misto tra welfare minimo e liberalizzazione dei mercati, che comportano precarizzazione del lavoro e deindustrializzazione a favore dell’industria improduttiva dei servizi e delle multinazionali.
Ma, malgrado la tanta retorica del neopresidente eletto, Napolitano che piaccia o meno ha saputo portare avanti 4 anni di crisi politica ed economica grazie alle sue capacità di uomo politico. Nei momenti di impasse Napolitano aveva le capacità dialettiche di rilanciare l’azione politico-istituzionale dei partiti. Dalla nomina del collegio dei saggi che avrebbero dovuto avviare il processo costituente per una nuova fase repubblicana alla nomina dei governi Monti-Letta-Renzi, il presidente emerito è stato uno dei presidenti più attivi e decisivi della storia della Repubblica. Mattarella dà invece l’impressione di avere un approccio alla politica da teorico, da uomo di scrivania, capace di essere un buon consigliere ma non un uomo che ha ben saldi le redini del giogo politico.
Dal canto suo il siciliano, ha voluto subito prendere le distanze da un’impostazione troppo presidenzialista. “Sarò un arbitro” ha detto, riprendendo una di quelle metafore calcistiche con cui si è reso celebre l’attuale premier Matteo Renzi. Il messaggio, leggendo dietro le apparenze dei “tweets” e degli slogan da social ai quali la politica ci sta abituando e si sta abituando un po’ troppo spesso, è ben preciso. A garantire la continuità del progetto di riforme sarà lo stesso Renzi, mentre al Presidente spetta un’interpretazione del ruolo istituzionale, in netta discontinuità rispetto al recente passato.
Non una sola parola, non un solo intervento sulle leggi costituzionali approvate a suon di aperture notturne della camera. La Costituzione va cambiata a tutti i costi, nelle forme che aggradano Renzi e le sue ambizioni elettorali, privando le tanto sbandierate riforme di ogni spirito costituente. Quale dovrebbe essere in un periodo di grave crisi, non solo economica, ma politica e sociale che attraversa l’Italia. Nessuna parola sul caso della promozione di Martino Colella a Procuratore Generale della Corte dei Conti, lo stesso che lo ha assolto dall’imputazione di danno erariale, con una motivazione alquanto discutibile. Per Mattarella tutto procede per il meglio, non è necessario far sentire la voce del Quirinale in alcun modo.
Il 29 Gennaio è stato tutto più limpido di quanto possa sembrare. Il patto con Napolitano con cui Renzi ha ottenuto la premiership del governo senza la necessità di passare per la prova elettorale, come lui stesso si era impegnato a fare in passato, ha prodotto l’ennesimo inciucio. Continua la Monarchia Costituzionale di Napolitano, Mattarella è a tutti gli effetti un nome calato dall’alto, per continuare a dare delle garanzie a chi crede di avere l’Italia sotto la propria tutela. Sono infatti ormai appurati i legami di Mattarella con i popolari europei e con leader come Juncker e la Merkel, sin dai tempi del governo D’Alema. Quella di scegliere il Presidente della Repubblica senza Berlusconi rompendo il cosiddetto patto del Nazareno, non è stata una vittoria di Renzi, come molte osservatori ed esperti hanno commentato, ma un compromesso.
Mattarella è indissolubilmente legato alla cricca migliorista-diessina rappresentata da Napolitano. Una lobby trasversale che va da Letta ad Alfano, ma che coinvolge soprattutto esponenti del PD. Non a caso, come riporta Libero, i figli di Mattarella e Napolitano, Bernardo Giorgio, e Giulio, sono entrambi nello staff amministrativo del ministro Madia. Non è un caso che tutti questi personaggi sono membri della fondazione VeDrò in cui sono presenti Letta e Alfano. Da parte sua Renzi ha ottenuto di essere costretto a rompere la proficua collaborazione con Arcore, avendo in cambio un personaggio dimesso dal punto di vista della leadership, uno che non si faceva sentire da quasi un decennio pur essendo un sostenitore della prima ora della creatura PD. Ma il profilo è assolutamente lontano dal tipico prodotto della rivoluzione renziana. Con Mattarella è difficile fare la solita propaganda su rottamazione e volta buona, anche se il nostro ci ha provato.
Con Mattarella è tornata pure quell’inconcludente propaganda moralista di quel conservatorismo di sinistra del periodo Monti-Letta. La prima cosa che ha fatto Mattarella prima di fare la passerella da Presidente il giorno della sua elezione, il 31 Gennaio è stata quella di visitare le fosse ardeatine, come monito contro il terrorismo dell’ISIS; forzato e inefficace. Durante il suo discorso si è preso la briga di elogiare gente come Dall’Oglio che è stato un sostenitore del disastro siriano contro Assad dal primo giorno, cioè di quei ribelli che hanno portato al qaeda e l’isis in terra siriana. Inoltre è stato ricordato il bambino ebreo ucciso nell’attentato alla sinagoga di Roma, del quale con tutto il rispetto pochi ricordano, ma allora perché non ricordare piazza fontana o la stazione di Bologna, delitti terroristici mai veramente risolti e dai gravi risvolti anche geopolitici. E pensare che avrebbe potuto ricordare, lui, uomo della sinistra DC, l’assassinio di Aldo Moro.
Perciò non illudetevi, Mattarella non ha nessuna intenzione di ricordare che la crisi ha causato più di duemila italiani suicidi e ha lasciato migliaia di famiglie senza lavoro. Il settennato di Mattarella va pensato come un premio alla carriera, quella promozione che si dà ai giudici e ai membri delle corti speciali prima di andare in pensione. Inutile perdere tempo ad ostacolare i piani di Obama e Merkel che si contendono l’Italia da ormai 4 anni. Meglio parlare di cose storiche che non interessano più nessuno, o di temi che non sono stringenti per gli italiani, anzi meglio se servono alla propaganda di paesi “alleati” come la Germania o gli USA. Meglio fare mostra ipocrita di sobrietà e poi intascare più di centomila euro all’anno, bacchettando addirittura Renzi sulla vicenda dell’elicottero, ma non soffermarsi sui problemi del paese in nessun modo. Neanche attraverso i poteri conferitigli dalla costituzione repubblica, che sono di più di quello che si crede comunemente. È tutto cristallizzato nella Monarchia Costituzionale di Napolitano. Gli unici che ci credono sono i grillini.