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Occidente nichilista, l’Is una setta deviante

di Enrico Galoppini - 23/11/2015

Fonte: vvox

Secondo lo studioso di civiltà arabo-islamica Galoppini, i terroristi seguono un Islam «non tradizionale». E l'Italia dovrebbe guardare a Mosca, più che a Washington

Enrico Galoppini 3

Siccome di banalità e di politically correct in questi giorni successivi alla tragedia di Parigi ne stanno scorrendo a sufficienza, dare voce ad uno studioso che è completamente disallineato alla vox populi può far solo che bene al dibattito. Enrico Galoppini, 46 anni, toscano, esperto di lingua araba e di storia e civiltà arabo-islamica, insegna all’università di Torino ed è uno dei fondatori del “Cesem – Centro Studi Eurasia-Mediterraneo”. Redattore della rivista Eurasia e animatore del sito Il Discrimine, fra le sue collaborazioni ci sono testate quali Limes, Imperi, La Porta d’Oriente, Africana, Rinascita, Italicum. Religiosamente parlando, si definisce «un cercatore di Dio vicino a tutte le esperienze “mistiche”, di ogni tradizione religiosa, perché la ricerca dell’Uno non ha colore né bandiera, che avversa e avverserà sempre sempre e comunque tutti i tentativi di seminare zizzania usando lo strumento della religione». Fatte le presentazioni, gli chiediamo cosa ne pensa dell’invito pressante, rivolto dai critici (anche non pregiudizialmente ostili) verso il mondo islamico, affinché condanni “senza se e senza ma” gli attentati di Parigi. Il professore sbotta: «Ogni volta che si verifica un attentato definito come “islamico”, scatta subito la richiesta occidentale di “scuse” da parte di un’entità quasi antropomorfica, una sorta di “signor Islam”, e comunque di una “presa di distanza” da crimini universalmente esecrabili che dei “rappresentanti” dell’Islam stesso dovrebbero dichiarare pubblicamente. A me questa cosa – che si ripete puntualmente dall’11 settembre 2001 – sembra davvero grottesca, perché nessuno è mai andato a chiedere “condanne” o “scuse” ai rappresentanti delle confessioni maggioritarie negli Stati Uniti e in Israele dopo attacchi terroristici (dizionario della lingua italiana alla mano) compiuti senza alcun rispetto per nulla e nessuno».

A quanto risulta, gli attentatori sono cittadini occidentali, la maggior parte francesi. È fallito il modello di integrazione della République, che a differenza di quanto viene scritto non è multiculturale (che è quello inglese), ma integrazionista, cioè basato sulla laicizzazione repubblicana (desacralizzazione, quanto meno dei simboli e modi esteriori)?
Sul concetto di “integrazione” sono state scritte intere biblioteche, ma la verità è che i modelli che una democrazia più o meno liberale può offrire non riusciranno mai a venire a capo del problema del “sacro” che, sgangheratamente e parodisticamente, riemerge con l’adesione di vari giovani “arabi” nati in Europa ad una “ideologia islamica”. Questo disastro è anche l’esito del nichilismo occidentale, il quale, sommato ad un allontanamento dall’Islam tradizionale da parte di chi non è più né carne né pesce, conduce a facili manipolazioni ed adesioni ad un “messaggio forte”, nella vana ricerca di un “protagonismo”un in una società dalla quale uno “sradicato” si sente fondamentalmente avulso. Il dramma, in fin dei conti, è l’immigrazione di massa in regime democratico.

La tesi di derivazione fallaciana sostiene che il problema non è il fondamentalismo islamico nella sua ultima incarnazione nell’Is, ma l’Islam in quanto tale. Da studioso della storia dell’Islam, come inquadra il “Califfato”?
Questo “Califfato” è uno sviluppo di al-Qâ‘ida, che a sua volta è uno sviluppo del “riformismo islamico”. Il quale, ci tengo a precisarlo, è essenzialmente letteralista e modernista, nel senso che rigetta la plurisecolare tradizione dei sapienti (di ogni scuola “ortodossa”) e dei santi (gli awliyâ’, tutti più o meno “eretici”) per ricercare una vana “purezza originaria” da rivivificare. Se pensiamo all’importanza attribuita al “libero esame” si colgono affinità notevoli con il paradigma delle varie sette cristiane “riformiste”. Dal punto di vista geopolitico, l’Is serve come scusa per ingerire sempre più nella regione arabo-islamica, e senza la sovversione occidentale di Stati quali l’Iraq, la Libia e la Siria non staremmo a parlare di questa entità.

Se questa è una guerra, che tipo di guerra è? E come dovremmo combatterla, in particolare noi italiani?
Questa della “guerra” è una polpetta avvelenata. È evidente che non si può dichiarare “guerra all’Islam” (cosa di per sé assurda) senza fare i conti con le alleanze di ferro occidentali (finanziarie e geopolitiche, per non parlare di certe “affiliazioni”) con alcune petromonarchie che, di concerto con l’America, hanno fatto il bello e il cattivo tempo. L’Italia, proprio perché abbiamo Roma, preda ambitissima da tutti, deve mantenere un ruolo equilibratore, senza farsi coinvolgere in “crociate” per conto terzi. Purtroppo abbiamo già fatto troppi compromessi, ma siamo ancora in tempo per invertire la rotta, seguendo le indicazioni che provengono da Mosca, dove hanno una visione molto chiara del problema strategico globale.

Quali sono le responsabilità dei popoli islamici? E quali quelle dell’Occidente?
La responsabilità principale di tutti quelli che si fanno fregare, in un modo o nell’altro, dalle sirene di una “guerra” tra Islam e Occidente sta in questo: che non si rendono conto di cadere nella trappola tesa da un unico Avversario, lo stesso che sia l’Islam che il Cristianesimo hanno chiaramente indicato come l’unico vero Nemico dell’uomo (Satana, Shaytân, in arabo, o Iblîs, il Diavolo). Tutto il resto è solo dettato da un intreccio spaventoso di affari inconfessabili delle élite e di chi comunque ha qualche tornaconto nel soffiare su fuoco, e di pulsioni umorali di chi si fa coinvolgere emotivamente in questioni messe lì apposta per manipolarlo e sfruttarne il sostegno. I popoli islamici (assai diversi tra di loro e compositi al loro interno, se solo si pensa alle differenze tra un Marocco e un’Indonesia, e quelle tra un musulmano fedele alla tradizione, uno che segue un’ideologia “islamica” ed uno anche solo “anagrafico”) hanno l’unica responsabilità di aver abbandonato la tradizione, così si sono ritrovati sballottati tra istanze apparentemente opposte, che abbiamo tra l’altro visto all’opera durante la “primavera araba”. L’Occidente (che significa di fatto un’Europa al traino dell’Angloamerica) porta invece la responsabilità di aver svenduto se stesso dopo la sconfitta militare della Seconda guerra mondiale, dalla quale deriva ogni nostra recente sciagura. Dal 1945, la nostra, di italiani ed europei, è la storia di una progressiva e tragica perdita di sovranità, politica, economica, militare e – diciamocelo francamente – anche culturale, con la religione che un poco per volta si è adeguata al “mondo” e ai “tempi”, tradendo dunque lo scopo per cui era stata istituita.