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Neturei Karta, ebrei contro il sionismo

di Alessia Lai e Antonella Vicini (da Teheran ) - 14/12/2006

 
In bella mostra sulle loro lunghe giacche nere, che con il copricapo di feltro, la barba e la capigliatura tipiche fanno la divisa di questi singolari personaggi, una targhetta raffigura la bandiera palestinese in cui si legge la frase, inequivocabile, “A jew not a zionist”.
Sotto, l’immagine del vessillo israeliano barrato con un segno rosso di divieto che lascia poco spazio all’interpretazione. Sono ‘Neturei Karta’, i rabbini pacifisti che propugnano un giudaismo, quello delle origini, basato sulla pacifica convivenza tra religioni. La loro ‘Terra promessa’, come ha sostenuto durante il suo intervento al convegno di Teheran il rabbino Moshe Ayre Friedman, di nazionalità austriaca, è soltanto un luogo spirituale identificabile con la stessa Palestina. Questo spiega l’assenza, nei loro discorsi, della parola ‘Israele’.

Specificano che il sionismo è una questione “unicamente politica” che, dietro la maschera della religione, giustifica i propri crimini contro il popolo palestinese e l’occupazione dei Territori. Il riferimento all’Olocausto, che non mettono in discussione come evento storico e delle cui modalità non si interessano (“Un crimine è un crimine a prescinedere dai mezzi con cui viene perpretrato e da quanti lo subiscono”, ha spiegato Ahron Coen, rabbino di Manchester), è soltanto il punto di partenza per una riflessione più ampia sulla mitizzazione della Shoah utile alla realizzazione dei fini poltici sionisti. Quello che loro cercano di sconfessare ad alta voce è l’equazione ‘giudaismo’ uguale ‘sionismo’, e lo ripetono più volte nel corso del loro intervento, anche incalzati dalle pressanti domande di chi, dalla platea, non crede nelle differenze tra i due termini.

I ‘Neturei Karta’ non hanno il sostegno esplicito della comunità ebraica. Abbiamo chiesto al rabbino Ysroel David Weiss quali siano i rapporti con i suoi correligionari, e la risposta fa luce sulla difficile collocazione ideologica di questo gruppo di ebrei ortodossi. “Non tutti hanno il coraggio di destarsi e di accettare che certi crimini vengano compiuti nel nome del giudaismo”, ci ha riferito il rabbino, che vive a New York, sottolinenando come “il sionismo ha il controllo dei mezzi di comunicazione nel mondo”, riuscendo in questo modo a formare le coscienze. Per questo Weiss ritiene la conferenza di Teheran un’opportunità per parlare a tutta la comunità ebraica. Il rabbino statunitense ha poi ribadito di non voler mettere in dubbio l’esistenza dell’Olocausto, affermando di averne esperienza diretta, visto che alcuni suoi parenti ne furono vittime, e che lo stesso presidente iraniano Ahmadinejad, nel corso di un loro recente colloquio, non lo abbia negato, contenstandone piuttosto la strumentalizzazione che ne viene fatta dall’entità sionista. Una visione condivisa dal gruppo dei ‘Neturei Karta’. Rispetto alla difficoltà di convivere con il resto della comunità ebraica, Weiss ci ha spiegato che per persone che la pensano come lui sarebbe pericoloso andare in Israele, e non in particolare per l’opposizione governativa, quanto per le reazioni aggressive e violente della popolazione israeliana in cui si imbatterebbe. Un’affermazione che fa il paio con le precedenti nello spiegare la difficoltà di accettare una visione così diversa da quella che l’indottrinamento sionista ha inculcato, e non solo in Israele, tramite i mass media ed il sistema educativo globalizzante.
Gli abbiamo chiesto cosa pensa dei ‘refusenik’, gli israeliani obiettori di coscienza che si nrifiutano di imbracciare armi contro i palestinesi: in un simile contesto aprire gli occhi è difficile, fa intendere il rabbino newyorchese, ma c’è chi lo fa.
Meglio tardi che mai.



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