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L'invincibile armata Spartamericana

di Loska - 25/03/2007

Fonte: giornalettismo

 
"Una nuova era è cominciata. Un'era di libertà". A parlare non è Silvio Berlusconi, e nemmeno George Bush. E' invece Leonida, Re di Sparta, per incitare i suoi alla battaglia contro l'esercito persiano. Proprio in questi giorni è in uscita un film, "300", basato su di una storia a fumetti di Frank Miller, che ha già scatenato enormi polemiche. Prima fra tutte, l'accusa di razzismo verso i "persiani", dipinti come esseri amorali, capaci di compiere qualsiasi tipo di empietà senza batter ciglio. Ma niente paura, a fronteggiarli ci sono 300 spartani, uno più muscoloso dell'altro, che ne freneranno l'avanzata alle Termopili per almeno due ore. Insomma, il tipico film americano pregno di epica, omaccioni muscolosi, ometti cattivi, olio, sorrisi luccicanti, nobili sentimenti e "ere di libertà".

Per chi non ha visto il film, ecco un trailer che ben ne riassume le caratteristiche salienti: eroi in controluce che urlano incitando la massa, che si scontrano contro un lupo orrendo con un sottofondo che sembra heavy metal. E che dire della differenza di colori: Sparta e gli spartani, sul chiaro, rappresentati con colori e luce, si contrappongono ad un esercito persiano in cui il colore dominante è il nero. Appesantito dalla più totale assenza di luce. Fra donne che si baciano, sfigurate, mostri empi circondati da altri mostri che "ululano" prima della battaglia. Mentre ad attenderli c'è l'esercito di Sparta, che si lancia sul nemico senza paura, ben sapendo che sarà la battaglia della vita. L'ultima. Un epico coraggio di cui parla anche Roberto Saviano, in un bel pezzo sull'Espresso che sottolinea quanto forte sia la dialettica del valore all'interno di simili film. Addirittura vien da chiedersi il perchè di tante polemiche: il nemico è nemico, se lo dipingevano bene, che nemico sarebbe stato? Avete mai visto, voi, un film americano in cui il cattivo è anche buono? Ma non esiste. Più che razzista, questa è una pellicola nostalgica, piena di colti riferimenti a film di ben altre epoche. Una macchina propagandistica, i cui intenti sono chiarissimi: da una parte i buoni, gli spartani, quelli che si farebbero mangiare il ventre da una volpe infuriata pur di non dire "a", dall'altra i persiani, mediorientali, gretti, cupi, privi di qualsiasi tipo di morale.

Densa di rimandi simbolici anche abbastanza superficiali, che ci ricordano per ingenuità un vecchio cult a cui tutti siamo molto affezionati: Rocky IV. E proprio da questa bizzarra somiglianza si può partire per analizzare una produzione che, per il resto, non è che sia questo granchè. Ma nell'era del digitale ormai si assomiglia un po' tutto, bastano tre muscoli e una carica al computer, quindi val la pena divertirsi in altro modo. Il caro vecchio Rocky Balboa, è il padre di questo filone cinematografico passato alla storia come "Gli Usa sono buoni, il resto del mondo Must Die", proprio perchè in Rocky IV è talmente sconcertante, l'intento propagandistico, da lasciare allibiti: "ma sono stati ingenui loro o sono malfidato io?". E' per questo che il campione, dopo aver battuto il nemico russo addirittura in trasferta - chissà se i pugni dati lì valgono doppio, come i goal segnati in Champions League - urla al popolo moscovita riunito: "Perchè se io posso cambiare, e voi potete cambiare, tutto il mondo può cambiare!". Capito l'antifona? Passate dalla parte della ragione, dalla parte della verità e dell'enduring freedom.

Lo stesso accade in 300. E' uno dei capisaldi dell'epica, sì, dipingere i nemici nel peggior modo possibile per esaltare la vittoria, e dipingerli anche come forzuti e quasi invincibili, perché così poi la vittoria rifulge di una luce ancor più brillante. Per cercare quel tumulto di sentimenti che alla fine del film, o quando il cattivo muore, lo porti a pensare "ti sta bene!", chiudendo la mano a pugno. Ti sei scontrato contro il bene, e hai perso. Ma non è solo uno stile, non oggi. Trecento validi spartani, trecento uomini che combattono da quando hanno 6 anni, che si immolano per la libertà: come tutti quei soldati che, ad esempio, combattono per salvare paesi di schiavi (l'esercito persiano, non a caso, era formato da schiavi soldato) in nome della libertà. Eroi "di fato intrisi" che si proiettano in Leonida, quello che "morirebbe per ognuno dei suoi soldati" in risposta ad un dittatore sanguinario, Serse, che invece "per la vittoria li ucciderebbe tutti". Un'operazione che fa sorridere e preoccupare. Sorridere per l'ingenuità di base, per quella visione anni '50 dell'America e della guerra. Preoccupare perchè, forse, non è tutta ingenuità. Perchè c'è altro, c'è una sottile - nemmeno troppo - voglia di "farti capire" che sconfina nel "volerti plagiare". Come dice Saviano, alla fine del film "ti viene voglia di andare da tuo figlio [...] prendergli la testa fra le mani e urlargli le parole di Leonida [...] 'Il mondo saprà che degli uomini liberi si sono opposti a un tiranno'". E se ti opponi ad un tiranno, qualsiasi perdita è lecita, qualsiasi sacrificio sostenibile. Ieri, come oggi. A Sparta, come negli Usa.