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Simon Bolivar: Roma, Libertà, America Latina

di Alfredo Musto - 28/12/2007

 

Lo spirito universale di Roma aveva catturato anche lui. La sua anima per una missione di civiltà. Lo giurò il 15 agosto del 1805, sul Monte Sacro, al termine di un appassionato girovagare tra le vie dell’Urbe in compagnia del suo maestro Simon Rodriguez e del suo amico Fernando Toro : “Giuro innanzi a voi; giuro per il Dio dei miei padri; giuro su di loro; giuro sul mio onore e sulla mia Patria che non darò riposo al mio braccio né pace all’anima mia fino a quando non avrò spezzato le catene che ci opprimono per volontà del potere spagnolo”
Erano i giorni del suo viaggio in Europa dove, in fuga dal dolore per la morte della sua amata e fedele alla promessa “di non riposarsi più”, visita luoghi che lo segneranno profondamente tra Madrid, Parigi, Lione, Torino, Milano, Firenze, Venezia fino a Roma. Non a caso qui, a Simon Bolivar è dedicato un monumento equestre, in un piazzale a lui intitolato, dono delle nazioni bolivariane all’Italia nel 1934, nonché una stele commemorativa, più recente, del suo giuramento sul Monte Sacro. Bolivar e l’Italia, un rapporto intenso e non di facciata. Il Libertador riconosceva al nostro Paese una sintesi eccelsa di cultura universale, di oriente e occidente, di artisti, politici, giuristi che segnavano il suo immaginario quali Cesare, Cicerone, Orazio, Tacito, Virgilio, Montecuccoli, Machiavelli, Filangieri, Genovesi, Muratori… E Roma rivive in lui attraverso il culto del diritto e la sensibilità per l’arte, nell’esempio della Repubblica romana e della civiltà latina. Già noto a tanti suoi contemporanei nel nostro continente che lo affiancavano alle figure di Rousseau, Montesquieu, Goethe, Byron, Foscolo, Monti, Verri, gli apostoli del Risorgimento ebbero modo di celebrarlo sentendolo più che mai vicino a loro. Così nelle parole di Mazzini: “Carriera di gloria, carriera di liberatore, carriera di Bolivar”; e così in quelle di Luigi Musini, patriota garibaldino: “Quest’uomo straordinario, il cui nome io pronuncio con rispetto ed amore, come gli antichi eroi della Grecia e di Roma, ebbe un solo culto: la patria; una sola aspirazione: la libertà. La sua tomba è un altare, dove le generazioni degli uomini liberi depositeranno eternamente il fiore perenne della gratitudine”. Bolivar è un uomo in lotta per la Patria e la libertà come Garibaldi, uniti idealmente come sono oltre che dalla appartenenza storica alle lotte di liberazione in America Latina, anche dalle comuni radici personali nel mito di Roma, dall’aver interpretato il delicato e necessario ruolo di dictator in senso latino, da una comune visione di popolo come comunità. Aristocratico il caraqueno, marinaio il nizzardo, trovarono nelle sofferenze quotidiane del loro obiettivo una dimensione comune con la gente, di cui si sentivano parte e di cui veicolarono bisogni e necessità senza mai cedere agli onori delle cariche e alle lusinghe, sorretti da una serietà morale che li fece eroi di tutti. Ci sono, quindi, i tratti del personaggio tipico dell’Ottocento in Bolivar, e mazzinianamente fu anche uomo di pensiero e d’azione, stratega e politico dotato di lucidissima preveggenza. Con un raffinato grado di conoscenza delle questioni politiche internazionali, nutriva la consapevolezza che il suo sogno di unire l’America Latina dal Messico all’Argentina, fosse una base importante per un diverso assetto degli equilibri mondiali. Anzi, potremmo parlare di ordine mondiale. Bolivar, infatti, sapeva che la sua lotta di liberazione non poteva essere considerata esclusivamente nell’area geografica in cui si svolgeva, dato che essa coinvolgeva interessi enormi di altri Paesi. Come Garibaldi, come Mazzini, non ha mai fermato lo sguardo ai confini nazionali, bensì seppe dare alla sua visione di libertà e unione dei popoli un valore universale; essa si fondava su forme di organizzazione transnazionali che rispecchiassero i grandi assetti continentali con le proprie caratteristiche politiche, economiche , culturali. Negli anni del fascismo in taluni ambienti si respirava una passione bolivariana, poiché, come evidenziava Giuseppe Bottai, “in Simon Bolivar l’Italia fascista scorge un temperamento vicino in sommo grado alla nostra sensibilità politica. Bolivar non è soltanto un Liberatore, ma anche e soprattutto un uomo d’armi, un condottiero. In lui il fascismo onora colui che ha saputo mantenere lontano dal Nuovo Mondo il pernicioso influsso giacobino e materialista, per instaurarvi la concezione classica e positiva dello Stato sovrano”. Gli scritti politici e personali del Libertador sono la più diretta testimonianza di tutto il percorso di un uomo che tra conquiste ed errori ha innanzitutto nobilitato se stesso. Lo ha fatto nella dedizione continua ai suoi ideali, tra consapevolezza del presente e intuizione del futuro, tra virtù ed eroismo, tra realtà e sogno. Amava ripetere che “l’unico scopo degno del sacrificio della vita degli uomini è la libertà” e si sentiva tra quegli uomini impegnati di fronte all’universo e alla storia. Probabilmente non fu mai convinto dell’effettiva possibilità di successo del progetto di una America Latina unita, e fu sempre cosciente dell’amara realtà di popolazioni comunque impreparate a questo grande salto in avanti. Ma era incrollabile il suo desiderio, che corrispondeva a concrete azioni politiche, di far progredire le sue genti e il suo continente. Il suo impegno per l’affermazione dell’identità poteva incarnarsi solo attraverso un’opera effettiva che passasse per il rifacimento delle istituzioni e dei principi che le reggevano. Non, dunque, un cammino utopista verso l’unità continentale, ma un nuovo cammino di civiltà che significasse progresso non astratto o individualista ma in nome del superiore interesse collettivo, perché nazioni soggiogate da un assolutismo secolare dispotico come quello spagnolo, si ritrovavano ora nella assoluta necessità di progredire sotto tutti gli aspetti del vivere sociale. E per Bolivar doveva trattarsi di un progresso di uguaglianza e giustizia. Si trovava di fronte un regime sostenuto da mezzi e teorie basati sull’oppressione, che non riconosceva né diritti né garanzie, dove regnava la schiavitù e vigevano profonde disuguaglianze. Un siffatto sistema arido e reazionario era una mortificazione per gli spiriti dell’America. Ormai il rifiuto della Conquista spagnola si palesava in un malessere diffuso pronto a sprigionare forze cui bisognava imporre una guida. L’indigeno opponeva resistenza alle costrizioni e allo spoglio continuo del suo territorio, la forzata integrazione delle popolazioni africane strappate a viva forza dalle loro terre d’origine con la vergognosa tratta degli schiavi, aggravava una situazione di fatto esplosiva che i Borboni seguitavano a ritenere eterna ed immutabile. Il Mondo Nuovo fin lì ingannato da tante promesse era ora arcaico, insufficiente, retrogrado e ingiusto. I meticci, gli indios e i negri discriminati ed emarginati nella loro stessa terra. Bolivar coglierà subito la sintesi razziale del suo popolo ed era deciso a farne una forza sola: “Non siamo ne indiani, né europei, ma una stirpe intermedia tra i legittimi proprietari del paese e gli usurpatori spagnoli, insomma pur essendo americani per nascita e con gli stessi diritti degli europei, dobbiamo rivendicare il titolo di possessori agli abitanti originari del paese e vivere in esso contro l’opposizione degli invasori; tanto è il nostro un caso straordinario e complicato”. Dopo una serie di moti rivoluzionari falliti, constatava la vicinanza della gente alla causa realista e ammetteva che essa non avvertiva al suo interno la rivoluzione che non le interessava e non difendeva. Capì che gli indipendentisti non garantivano assoluta libertà. Sembra di rivedere le tristi meditazioni di Garibaldi. Eppure il sogno bolivariano continuò, perché egli stesso volle rinnovarlo, nonostante tutto. “Da questo momento … vi sarà una sola classe di uomini, tutti saranno cittadini”. E vennero i giorni dell’abolizione della schiavitù e le simpatie del popolo.
Nella sua preziosa “Carta de Jamaica” del 1815, il caraqueno formula ancora le linee guida dell’idea unitaria sudamericana, dalla lingua alla religione, ai costumi, alla storia, alle sofferenze e alle speranze; ma anche le inevitabili difficoltà delle enormi distanze, della diversità dei caratteri, degli interessi locali. Si trattava di trenta milioni di chilometri quadrati, ma la superficie non gli interessava. Dentro c’era il suo nuovo pensiero di una concreta possibilità di uguaglianza e giustizia, di solidarietà, di forza morale e culturale in nome di quei valori supremi dell’educazione, delle scienze, delle arti, delle lettere e quanto insomma elevi la società. Bolivar non inventò in senso stretto ciascuno degli elementi che caratterizzavano la sua struttura di cambiamenti e di progresso per rivoluzionare il vecchio sistema.
La sua era una formazione che potremmo definire di tipo umanistico, alimentata presso le fonti - oggi diremmo - dei classici greci e latini, ma anche degli illustri pensatori dei secoli successivi. Aveva colto un senso comune nelle genti latine e cercava di rivitalizzarlo guardando alle esperienze europee della sua epoca.
Il Libertador cercò, insomma, di racchiudere una complessa tradizione storica all’interno di un progetto vivo e funzionale. Sul piano politico mirava all’indipendenza, all’emancipazione, ad una repubblica costituzionale, rappresentativa, alternativa e popolare; sul piano sociale si batte per l’abolizione della schiavitù, per l’eliminazione dei privilegi, delle barriere e delle divisioni tra i cittadini in nome dell’uguaglianza; sul piano economico rivendicava giustizia nella divisione dei beni nazionali, delle terre in primo luogo, e la nazionalizzazione delle risorse minerarie; sul piano giuridico, anche nella sfera del diritto internazionale, limava le sfaccettature di un’unione autentica ed effettiva delle diverse patrie; sul piano culturale, aveva ben chiaro che l’impegno alla base di tutto è partire dalle fondamenta, cioè un impegno educativo per il popolo. Mentre in Europa andava affermandosi l’individualismo liberale e in Inghilterra si sanciva la “libertà dei contratti”, Bolivar cercava di edificare una diversa dimensione collettiva, puntando ad una suprema libertà sociale, a sicurezza, garanzie e diritti sociali.
In Europa il nascente proletariato industriale versava in condizione critiche, in America Latina egli preparava leggi a favore degli indios, mediante norme esplicitamente interventiste e protezioniste che sarebbe riduttivo giudicare come mere manifestazioni di umanitarismo, giacché si trattava di un insieme organico in grado di rendere dignità ai cittadini e lavoratori.
In Europa una certa foga liberale vedeva come meta la semplice libertà individuale e considerava la società intera o qualsiasi forma di associazione, come elementi di restringimento del libero arbitrio e attentati ai “Diritti dell’Uomo e del Cittadino”, auspicava la fine dello Stato in quanto vecchio mezzo di dispotismo e teorizzava un’entità dove si sarebbe affermato il più forte.
Altrove, invece, nelle nazioni toccate dal sogno bolivariano, si lavorava per un sistema repubblicano attivo, centralista, democratico e civile.
Ma aveva previsto il destino tragico delle genti per cui si era battuto tutta una vita: “Ho governato per vent’anni ed in questi non ho ottenuto che pochi risultati certi: primo, l’America è ingovernabile per noi nativi; secondo, colui che serve una rivoluzione sta arando nel mare; terzo, l’unica cosa che si può fare in America è emigrare; quarto, questo paese cadrà inevitabilmente nelle mani della folla scatenata, per passare poi in quelle di tiranni quasi impercettibili, di tutti i colori e razze…”.
Con una visione scevra da facili interpretazioni “liberali” e “materialiste”, anni e anni dopo la sua morte, Benito Mussolini, già uomo di Stato, mosso da affinità e convergenze, sintetizzerà così a proposito del Libertador: “Puro eroe, animato da una energia indomabile e talvolta spietata, che ricorda quella dei primi conquistatori della sua stessa nobile stirpe, egli concorse, con un’opera veramente rivoluzionaria perché profondamente creatrice, a gettare le basi dell’odierna America Latina. Con animo e genio di Condottiero condusse i suoi uomini oltre vette ritenute inviolabili; non schiavo di sette né di ideologie, assurse alla concezione dello Stato unitario poggiato sulle grandi forze della nazione liberando le energie sopite della sua razza”(1)

(1)Il Popolo d’Italia 24/o4/1934 tratto da “Limes” n.2 2007
Fonti bibliografiche: “Scritti scelti di Simon Bolivar” ed. a cura della Presidenza del Consiglio dei Ministri.