I padri che decidono di tenersi i figli dopo il fallimento del matrimonio sono in continua crescita. Fino a qualche tempo fa l’incremento annuale delle domande di affidamento (in gran parte rifiutate dai giudici) era la spia di un fenomeno significativo, ma ancora «di nicchia». Due anni fa i papà che vivevano con i loro figli, erano già diventati 340.000. Da allora sono ancora aumentati, passando da élite ad avanguardia di massa. Crescere i bambini, però, è difficile. Perché lo fanno?
La risposta non è difficile: amano questi loro figli, e percepiscono le madri con cui li hanno concepiti inadeguate, o impossibilitate a occuparsi efficacemente di loro. I giudici, che fino a dieci anni fa non leggevano neppure le loro richieste, tranne quando la madre stessa le appoggiava, oggi prestano loro più attenzione.

Fino al nuovo millennio finiva sempre come per Bob Geldof, il cantante premio Nobel per il Live Aid. L’inglese Geldof, era un padre perfetto: lavava, preparava il cibo, e provvedeva ai bisogni delle tre figlie: Fifi, Peaches e Pixie. Le portava a scuola, preparava loro il pranzo e la sera le metteva a letto, raccontando le storie per farle addormentare. Nel frattempo fu nominato baronetto per la sua attività in Live Aid, e ottenne il Nobel. Quando però si separò dalla moglie, la star Paula Yates, dipendente da alcool e droghe (oltre che disattenta alle figlie), il Tribunale le affidò a lei: in fondo Geldof non era che il padre.
Il cantante, angosciato, dilapidò una fortuna in avvocati: inutile. Soltanto dopo i ricoveri della madre per assunzione di droghe e alcool, Bob Geldof riuscì a ottenere la custodia delle figlie. Dopo che la moglie e il suo compagno morirono di eccessi, egli si fece affidare anche la loro bimba, di ormai cinque anni, Tiger Lily. Così venivano visti, in Occidente, i padri, e i loro figli.
Oggi la situazione è cambiata. Che molte madri non ce la facciano, purtroppo, non è solo una percezione dei padri, ma un fatto di cronaca. Dopo diversi infortuni, i giudici ne stanno prendendo atto, aiutati anche dall’affermarsi di una cultura più autenticamente paritaria, che dopo essersi disfatta di ogni retorica «patriarcale» ha accettato anche di relativizzare la «sacralità», e unicità della figura materna.
Certo i figli crescono nella pancia della madre, e non dei padri, e avrebbero bisogno di prolungare questa simbiosi con la madre per alcuni anni: questo va ricordato anche per non cadere nella retorica opposta, dei mammi o delle Mrs. Dobtfire nel film con Robin Williams. Non sempre, però è possibile.
A volte, spesso, i figli sono venuti più per la spinta di un desiderio paterno, che per uno slancio di maternità. In questi casi, spesso, la donna non è disponibile a quel costante dono di sé su cui si regge una famiglia. Il matrimonio allora fallisce, ed il padre, se consapevole di come sono andate le cose, vuole salvare i figli da un guaio in cui lui stesso li ha messi. In altri casi invece la madre perde il contatto con i figli strada facendo: per patologie insorte nel frattempo, nuovi amori devastanti, o vocazioni professionali manifestatesi dopo l’arrivo dei figli.
In tutti questi diversi casi, e altri ancora, troviamo padri che scoprono (spesso con sorpresa) di tenere ai propri figli più che a qualsiasi altra cosa, e li richiedono con tutte le loro forze. Negli ultimi due anni poi, l’applicazione (contrastata) della legge sull’affidamento congiunto ha cominciato a smussare conflittualità ormai d’altri tempi, contribuendo ad affermare una nuova cultura genitoriale.
Ecco dunque i nuovi padri. Ce n’era bisogno.