Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / L’universo materiale è creato per l’illusione di chi vuole realizzarsi al di fuori dell’Essere

L’universo materiale è creato per l’illusione di chi vuole realizzarsi al di fuori dell’Essere

di Francesco Lamendola - 02/02/2010

 

Perché esiste l’universo materiale?
Non è una domanda gratuita, o irriverente, o presuntuosa; al contrario, è una domanda perfettamente legittima.
Il materialista non è tenuto a porsela: per lui, la materia esiste da sempre e sempre esisterà; oppure, più semplicemente, egli può rispondere che la domanda non lo interessa, dal momento che qualsiasi finalismo esula dalla sua prospettiva filosofica.
Ma, per colui che abbia elaborato una concezione spirituale della realtà, si tratta di una domanda non solo legittima, ma anche imprescindibile. Dato che l’universo materiale è, in ultima analisi, una apparenza illusoria, chi e a quale scopo ha creato negli enti codesta illusione?
La tentazione istintiva sarebbe quella di rispondere che ce la siamo creata da soli, a causa della nostra ignoranza e della nostra follia; a causa del nostro timore e della nostra brama; della nostra incapacità di cogliere il legame profondo, indissolubile fra noi e tutti gli altri enti, e di tutti quanti gli enti con l’Essere da cui provengono e cui sono chiamati a fare ritorno.
Senonché, questa risposta presenta almeno un grosso punto debole: come mai l’Essere ha permesso che cadessimo in preda di siffatte passioni e di siffatta ignoranza; come mai ha reso possibile che noi, ingannevolmente, ci percepissimo come distinti e separati, ovvero che precipitassimo nel baratro del nichilismo?
Il nichilismo, infatti, è questo e non altro: credere che gli enti compaiano, dal nulla, sull’orizzonte dell’esistenza, e poi, altrettanto bruscamente, nel nulla vadano a scomparire, come se mai non fossero stati.
Naturalmente, non possiamo procedere che per via di ipotesi. Ebbene, l’ipotesi che ci sembra di poter fare - suffragati, del resto, da uno dei rami più antichi della Tradizione, vale a dire quello dei Veda e dell’antico Brahmanesimo - è che il Signore Supremo abbia creato questo universo illusorio, “maya”, e questo gioco cosmico, “lila”, precisamente allo scopo di offrire un autonomo spazio di manovra a quegli enti i quali preferiscono perseguire una ricerca individuale della felicità, indipendentemente dal loro legame con il Tutto e, quindi, anche dal legame con la loro stessa natura divina, come se essa non esistesse affatto.
Che si tratti di un tentativo impossibile, e quindi di una doppia illusione - di una illusione nell’illusione all’interno di “maya” -, questa è una verità che gli enti devono scoprire da soli, perché, diversamente, la loro libertà di scelta non sarebbe rispettata, ma essi verrebbero ridotti a semplici burattini nelle mani dell’Essere Supremo.
Non solo: è abbastanza evidente che  non si tratta di una verità facile da accettare, specialmente quando si è profondamente immersi nell’illusione della separatezza; ragion per cui è quasi inevitabile che gli enti ripetano innumerevoli volte i medesimi errori, prima di rendersi conto della ragione per cui non riescono a raggiungere l’agognata felicità. E una sola vita umana, per giungere ad una tale consapevolezza, può non essere sufficiente; oseremmo dire, anzi, che la regola è che ne siano necessarie parecchie.
Una volta compresa questa fondamentale verità, che noi non possiamo trovare la felicità se non nel ritorno all’Essere - una semplice verità che San Tommaso d’Aquino ha mirabilmente sintetizzato nella sentenza: «La felicità è conoscere e amare il Sommo Bene» -, il più è fatto, ma solo a livello teorico: bisogna, ancora, che l’anima intraprenda il suo personale cammino esistenziale in armonia con tale verità. E anche questo può richiedere molto, molto tempo; molto tempo e molti tentativi, molte cadute, molte riprese e molta buona volontà.
Insomma, è una cosa che può richiedere lo spazio di numerose reincarnazioni; ciascuna delle quali, tuttavia, non è come un ripartire da zero ogni volta, perché il frutto delle azioni interessate si accumula di vita in vita, ma, dal momento in cui si è imboccato il giusto sentiero, il cumulo incomincia a diminuire, le azioni interessate si diradano e lasciano il posto alla equanime, amorevole contemplazione. Finché non rimane più alcuna traccia di “karma” e l’anima ha finalmente ritrovato la leggerezza e l’innocenza che le consentono di compiere l’ultimo e decisivo balzo verso il suo ultimo destino: il ritorno felice alla dimora dell’Essere.
Scrive Richard L. Thompson (un matematico e filosofo indiano che vive e lavora in America, ma il cui vero nome è Sadapuda Dara) nella sua eccellente monografia «Le civiltà degli alieni» (titolo originale: «Alien identities», 1993; traduzione italiana di Giulia Amici, Jackson Libri, 1995, pp.  425-426):

«Secondo i Veda, il mondo materiale è modellato da un’energia chiamata “maya”. “Maya” significa illusione, magia e potere che crea illusione. La concezione di base dei Veda è che l’universo viene creato come un campo giochi per le anime che cercano di godere della vita separatamente dall’Essere Supremo. Se questi esseri avessero la perfetta conoscenza della realtà, allora conoscerebbero anche la posizione del Supremo, e sarebbero che vivere felici separati da Lui, cioè una condizione di godimento separato,. È impossibile. Viene dunque creato l’universo come luogo dell’illusione, o “maya”, in cui queste anime possano perseguire i propri interessi separati.
Un altro aspetto della visione vedica è che l’Essere Supremo desidera che le anime illuse dell’universo ritornino o a Lui. Ma perché questo atto abbia un significato, deve essere volontario. La vera essenza dell’anima è agire liberamente, per amore. Quindi, se l’anima è costretta ad agire da un potere superiore, questa sua essenza non puà manifestarsi. Per questo, l’Essere Supremo cerca di dare all’anima la conoscenza di come tornare al Supremo in un modo molto delicato, che non sopraffaccia il libero arbitrio dell’anima.
Ecco il punto di vista del “Bhagavata Purana”sulla relazione tra il Supremo e il mondo dell’illusione:
“Offro i miei omaggi a Vasudeva, la Persona Divina, Suprema e Onnipervadente. Medito su di Lui, la realtà trascendente, che è la causa primordiale di tutte le cause, dal quale tutti gli universi manifestati hanno origine, nel quale risiedono e dal quale sono distrutti. Egli è direttamente e indirettamente cosciente di tutte le manifestazioni, ed è indipendente perché non esiste altra causa all’infuori di Lui.
“È Lui soltanto che ha impartito in origine la conoscenza vedica nel cuore di Brahma, l’essere vivente originale. Da lui anche i grandi saggi e gli esseri celesti sono sottoposti all’illusione,  così come una persona viene confusa dalle rappresentazioni illusorie dell’acqua che si vedono nel fuoco, o della terra vista sull’acqua. Soltanto a causa Sua gli universi materiali, manifestati temporaneamente dalle reazioni delle tre influenze della natura materiale,  appaiono reali, pur essendo irreali” (Bhag. Pur., 1. 1. 1.).
[…] ho paragonato l’universo a una realtà virtuale  manifestata all’interno di un computer da un esperto programmatore. Gli abitanti di una realtà virtuale esistono davvero al di fuori del mondo illusorio generato al computer, ma sperimentano l’illusione di essere all’interno di quel mondo. Se dovessero dimenticare la loro vera essenza, l’illusione sarebbe allora completa, e si identificherebbero completamente con i loro corpi virtuali generati dal computer. Secondo i Veda, questa è esattamente la condizione delle anime illuse nell’universo materiale.
Nell’ambito dell’illusione generale di “maya”, esistono mole altre illusioni secondarie. L’illusione primaria ci fa dimenticare l’onnipotenza del Supremo, e le illusioni secondarie ci fanno dimenticare la gerarchia  di amministrazione cosmica stabilita dal Supremo all’interno dell’universo materiale. Tutte queste illusioni permettono all’anima individuale di agire liberamente, anche se in realtà si trova sempre sotto un controllo superiore. Allo stesso tempo, queste illusioni non sono così forti da impedire la libertà di azione all’individuo che vuole cercare la verità. Se “maya” fosse così forte da impedire ogni tentativo di scoprire la verità, allora anche questo equivarrebbe a negare il libero arbitrio. Secondo la tradizione vedica, l’Essere Supremo fa discendere nel mondo materiale dei maestri, che trasmettono la conoscenza trascendentale alle anime condizionate. Grazie ai meccanismi di “maya”, la gente avrà sempre una grande abbondanza di scuse per rifiutare questi maestri, se lo desidera.  Ma quelli che aspirano a una conoscenza superiore, avranno a disposizione altrettanti modi per distinguere la vera conoscenza dall’illusione.»

Naturalmente, questo non spiega tutto; ci mancherebbe altro. «State contenti, umana gente, al “quia”;», direbbe il gran padre Dante; «che, se possuto aveste saper tutto…». È ovvio che noi possiamo avvicinarci, e per giunta alla lontana, solo ad una parte di verità così ardue e sublimi, così eccedenti la sfera che noi chiamiamo intellegibile.
Il problema forse più cospicuo che non riceve una risposta adeguata in una prospettiva come quella sopra delineata, è  naturalmente - lo stesso su cui si affaticano, da sempre, le menti più eccelse del’umanità: quello del male. Il prezzo da pagare per l’esercizio del nostro libero arbitrio, in realtà, appare veramente molto alto, specialmente considerando che vittime frequenti del male morale sono gli innocenti, gli indifesi, i bambini.
Qualcuno potrebbe, infatti, domandare: «Ma è proprio necessario, per permettere agli enti di comprendere che non esiste felicità al di fuori dell’Essere, che essi infliggano così grandi sofferenze a se stessi, ai propri simili e a tutti gli altri viventi? È solo per questo che interi popoli sono stati sterminati; che le bombe atomiche hanno raso al suolo Hiroshima e Nagasaki; che migliaia di specie vegetali e animali sono state portate all’estinzione? È solo per far sì che gli enti comprendano l’inanità di cercare una felicità separata, che i cuccioli di foca vengono scuoiati ancor vivi e che migliaia di altri animali vengono vivisezionati nei laboratori di una scienza crudele e malvagia? Non vi è una sproporzione fra il bene che si vuole preservare - la libertà di scelta degli enti - e le conseguenze negative che ciò provoca?»
Domande difficili, bisogna avere l’onestà di riconoscerlo; alle quali si può tentare di rispondere, ma con la chiara consapevolezza che le nostre piccole menti non possono presumere di giungere al fondo dell’ultima verità.
Dunque: sì, il prezzo è alto; ma esistono altre strade, per condurre gli enti sulla via della consapevolezza, all’infuori di quelle che passano attraverso la diretta, concreta e personale esperienza di ciascuno? Perché, comunque si giri e si rigiri la questione, il punto è proprio questo: che altre strade non ve sono, se non quelle di un intervento esterno, autoritario e calato dall’alto, come un “Deus ex machina”, che annullerebbe la nostra libera volontà e, pertanto, toglierebbe ogni significato alla nostra eventuale consapevolezza.
Lo sappiamo bene: basta osservare i bambini. Per un bambino, le esperienze diventano significative e lasciano una traccia durevole solo se egli le ha vissute in piena autonomia e se ne ha toccato con mano gli effetti; e gli adulti dovrebbero permettergli di farle, ovviamente proteggendolo solo dalle situazioni di autentico pericolo che possono derivarne. Ma se non cadrà per terra, non imparerà ad andare in bicicletta; e se non avrà desiderato a lungo un giocattolo, poi non saprà goderne, né farne una porta verso la gioia della creatività.
Lasciamo ai cattivi filosofi, come Voltaire, il discutibile privilegio di fare del moralismo a buon mercato sulla crudeltà del mondo in cui viviamo; e riconosciamo che i buoni filosofi, come Leibniz, non hanno mai affermato che il mondo è perfetto, ma che è, semplicemente, “il migliore fra quelli possibili”; ovvero, se si preferisce, “il meno peggiore”.
Questo è l’unico universo in cui trovi spazio l’esercizio effettivo della nostra libertà di scelta; e se il prezzo da pagare è alto, dobbiamo ringraziare solo noi stessi, così duri di comprendonio davanti alla semplice verità che nessun bene parziale potrà mai sostituire l’unico vero Bene, ciò che è assolutamente, perfettamente Bene in se stesso: vale a dire l’Essere.
Il paradosso, se si vuole, consiste nel fatto che noi, quel Bene, lo possediamo già, perché ne siamo parte. Ma non lo sappiamo; ed è appunto questo che dobbiamo imparare.