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La battaglia per l’art. 18: o col capitale o con la Patria

di Filippo Bovo - 30/09/2014

Fonte: Stato e Potenza


art18_1Sono ormai vent’anni e più che in Italia chiunque governi (centrodestra e centrosinistra in egual misura) s’adopera per “liberalizzare” il mercato del lavoro. Lo Statuto dei Lavoratori, ovvero la famosa Legge 300 del 20 maggio 1970, è divenuta sempre più relativa e meno influente. L’art. 18, poi, è stato assurto negli anni a “pietra dello scandalo” alla base di un quotidiano e vieppiù virulento scontro tra quanti ne invocano la soppressione e quanti, al contrario, ne difendono la sopravvivenza a spada tratta. Eppure, più passa il tempo e più diventa chiaro come l’art. 18 sia ormai soltanto e soprattutto un “feticcio”, la cui abrogazione (o conservazione) influirebbe poco o nulla sulle prestazioni e l’efficienza del mercato del lavoro. Pare infatti che a beneficiarne, in Italia, sia ormai una percentuale irrisoria di lavoratori, così come irrisorio sarebbe il numero di casi annui in cui verrebbe appellato ed applicato.

Quindi, che venga eliminato o meno, nulla cambierebbe. Quella intorno all’art. 18 sarebbe, insomma, poco più di una battaglia simbolica, dietro cui nascondere ben altri problemi che invece si preferiscono non affrontare. Quali sono questi problemi? Per esempio una seria riforma fiscale (accompagnata per ovvietà di cose da un’altrettanto seria lotta all’evasione fiscale) che alleggerisca il prelievo dalle buste paga dei lavoratori, favorendo anche le imprese ed incoraggiandole (in questo caso sì, per davvero) a rimanere sul nostro territorio. Una politica d’interventi ed opere pubbliche, in grado di rilanciare l’economia e di creare occupazione, dando al paese nuove e necessarie infrastrutture nell’ambito dei trasporti, della sanità, della scuola, dell’edilizia popolare, ecc, e recuperando o salvando quelle vecchie ed ormai bisognose di un’urgente rimessa in carreggiata. Un maggior intervento dello Stato in economia, col ritorno sotto il controllo pubblico di banche ed imprese oggi in sofferenza o comunque strategiche per l’interesse nazionale e che per ovvie ragioni di tutela della sovranità non possono essere lasciate in altre mani. E queste sarebbero solo le primissime cose da fare se s’avesse veramente a cuore il paese, e che determinerebbero un incremento dell’occupazione ed uno stimolo all’economia certamente ben più consistenti di quello determinato da un eventuale abrogazione dell’art. 18.

Chi possiede una visione socialista della società e dell’economia non può certamente condividere l’idea (tanto cara a certi ambienti dove impera il culto dell’ideologia liberista) di chi vorrebbe eliminare l’art. 18 per rendere sempre più concreta, anche simbolicamente, la compressione dei diritti dei lavoratori e la loro umiliazione, il loro venir ridotti sempre di più a “bipedi da soma”. E di certo non guarderà con molta simpatia a quella “sinistra” che ai tempi di Berlusconi riempiva le piazze con oltre quattro milioni di persone in difesa dell’art. 18, mentre oggi s’appresta a freddarlo nel più totale silenzio dei sindacati, suoi fidi satelliti. E’ una questione di dignità, oltre che di coerenza.

Qualcuno vuole il bene del capitale, noi quello della Patria.